Udinese, si quel ‘paron’ io fossi…
Mi hanno chiesto di redarre la mia ‘top-11’ del decennio che stasera si conclude. Mi sono rifiutato, sarebbe stato ripetitivo e deprimente dato che non vi avrebbero trovato posto giocatori attuali.
Mi hanno chiesto di scrivere un pezzo di fine decade. Non posso esimermi, ed inizio da un voto: un dieci per i primi quattro anni, un cinque per gli ultimi sei. Fate voi la media.
Sulla scorta di quanto accade a Roma (dove arriva un magnate americano che sborserà, fra debiti rilevati, buonuscite, acquisizione di quote e ricapitalizzazioni più di 800 milioni), di quanto successo a Milano (entrambe le sponde) e Firenze, Bologna, Venezia; insomma sul calcio che diventa sempre di più investimento a medio termine e meno ‘presidente che spende’, mi sono chiesto cosa avrei fatto, come mi sarei comportato io se le azioni dell’Udinesecalcioessepià fossero state mie.
Una fantasia? Sì, ovvio. Voglia di sentirmi migliore della famiglia Pozzo? No, non ne ho le capacità. Ma credo di non offendere nessuno se, come tutti i miei connazionali, mi voglio sentire per un paio di paragrafi Rocco Commisso, o Joey Saputo. Meno Jonghong Li.
Oppure uno della ‘famiglia’. Almeno negli ultimo decennio.
Gli allenatori? Quando venne sostituito Pasquale Marino, che all’epoca fu ricordato solo per la serie di sconfitte consecutive (e non per il calcio esibito, seppur con una squadra dal talento smisurato), fu richiamato Francesco Guidolin. Ne fui sinceramente felice: la stagione che disputò con noi, 1998-99, culminata con la qualificazione europea ai danni della Juventus (più forti anche della ‘rigorazza’ di Inzaghi), era stato un ‘interruptus’ calcistico. La rescissione figlia di un equivoco, il ritorno una cosa normale. Sono stati tre anni fantastici ed uno medio, solo a causa di qualche tristezza di troppo. Ricordo qualche tifoso fare conto alla rovescia per vederlo partire, gli stessi che oggi ne invocano il ritorno numero 2. Memoria corta, ma quell’anno le cessioni e la stanchezza avevano terminato un ciclo epico. Avrei fatto lo stesso, cambiando Francesco, per evitargli un’ulteriore stagione mediocre.
La scelta successiva, Stramaccioni, dal punto di vista del gioco e delle idee, una scelta non sbagliata: da lì in poi, al netto di Delneri (indispensabile per tenere assieme la piazza) e di Nicola (poi rivelatosi una delusione), è arrivata gente che io non avrei mai voluto vedere associata ai nostri colori. Ripeto: sto esprimendo un’idea, una fantasia, nessuno si senta offeso. Magari don Julio el salmantino sarebbe potuto ‘diventare’, quando non avesse cambiato il suo credo tattico dopo il secondo tempo col Benevento. Secondo me in società si sono voluti cautelare, per non dire che si sono intimoriti. Càpita.
Sui giocatori, poi, il tocco magico della proprietà è venuto meno quando è aumentata la tecnologia e soprattutto l’ingerenza dei procuratori. Ormai i Sànchez non vengono più via a prezzi ragionevolissimi verso squadre come l’Udinese: lo scouting lo fanno tutti, dalle grandi squadre a chi, come l’Atalanta, ormai non schiera quasi più giocatori formati in casa, ma li preleva pronti all’uso o quasi da mezzo mondo.
Detto questo, fossi stato nei panni della proprietà avrei fatto un piccolo sforzo, il giorno in cui il simbolo del decennio bianconero, al secolo Di Natale Antonio ha sfilato per sempre gli scarpini, avrei firmato un assegno indubbiamente corposo assicurandomi le prestazioni sportive del signor Quagliarella. La vulgata dice che sia stato ritenuto troppo vecchio (avrebbe poi vinto in seguito la classifica dei cannonieri in massima serie…): io mi rifiuto di pensarlo. Per il resto, le scelte (obbligate) di una società media come l’Udinese conducono a scommesse, siano esse ragazzi giovani o seconde chances offerte. Una va bene, una va male. Ecco: dovessi proprio essere pignolo, giocare ad Anfield (anzi: giocarsela) con Ekstrand (ritiratosi dopo aver giocato cinque gare in tre anni) e Neuton (fuori dai radar dopo l’avventura pistoiese) non è stata una grande mossa.
Se ne parlava ieri sera: ‘gente’ come Michele Antonutti, nella pallacanestro Udinese, sono uomini-franchigia: giocatori che possono/vogliono mettere la propria faccia e il rispetto guadagnato in anni di carriera fra squadra, società da una parte e tifoseria dall’altra; all’Udinese dell’era più moderna, questo giocatore manca. Ho sperato potesse diventarlo Danilo, quado un dito medio si trasformò nell’abbraccio straordinario di una rovesciata al novantunesimo; o Rodrigo, dall’alto di un talento indubbio: niente da fare. Via Totò, via GPP, via Maurizio fra Udinese e tifoseria vi è distanza. E nonostante un tifo caldo ed incessante, da fuori questo si percepisce.
Dettagli: sono questi che fanno la differenza nel calcio italiano di oggi. La differenza fra accomodarsi nel folto gruppone che mira l’Europa League e la lotta per non retrocedere è sottilissima. Qualche giocatore rivelazione, un allenatore su cui fare affidamento, col quale progettare il futuro. Così come si era fatto con Francesco Guidolin, o Spalletti, o Zaccheroni.
Il rapporto con la tifoseria? Fossi stato nella proprietà, avrei mantenuto un comportamento ugualmente riservato ma più partecipe, almeno manifestamente. Qualche dichiarazione pubblica, la ricerca di un ambiente irenico e sereno nonostante la ritrosia a farsi vedere, a parlare e la scelta, negli ultimi anni, di assumere dirigenti di peso e competenza con i quali parlare di calcio viene facile.
Fra due ore sarà anno nuovo. Io, che sono spocchioso e supponente ma ci credo sempre, non posso che augurare ed augurarmi di trovarmi, fra dieci anni, a commentare gli anni venti dell’Udinese iniziati così così e poi diventati eccezionali. Il gioco di farmi proprietà per un paio di paragrafi non mi è riuscito, pazienza. Ad ognuno il suo mestiere.
Il mio, il nostro è quello di dire se qualcosa in campo non funziona (e dire ‘qualcosa’, in questi anni, significa usare un eufemismo): ma anche di gioire, assieme, per una rete realizzata o una parata di Giovannino Musso.
Perché lo sport è gioia. E, ne sono certo, questo è condiviso da chi comanda l’Udinese calcio. Altrimenti anche loro si perdono qualcosa.
Buon anno, amici miei. E che sia meno lungo e sofferto di questo. Per tutto e tutti.
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