Il ritorno di Alexis Sanchez a Udine, salutato con entusiasmo e nostalgia dai tifosi friulani, rischia di chiudersi nel peggiore dei modi: tra rancori, parole dure e un addio che sa di incomprensione. Dopo aver ritrovato una maglia da titolare e minuti importanti con il suo Cile, il Niño Maravilla ha rotto il silenzio e attaccato pubblicamente il tecnico Kosta Runjaic per la gestione a dir poco discutibile della sua stagione in bianconero.
“Sono arrabbiato, la verità è che ho avuto a che fare con un allenatore che non mi ha capito e non ho giocato per molto tempo. Mi sento fisicamente bene, quelli che parlano di me che vadano a vedere i miei allenamenti”, ha dichiarato senza mezzi termini il cileno.
Parole nette, senza filtro. Un j’accuse che fotografa un rapporto mai veramente decollato, forse nemmeno mai cominciato. Perché Runjaic, dal suo arrivo sulla panchina dell’Udinese, non ha mai dato fiducia reale a Sanchez.
Sanchez era tornato lo scorso agosto per chiudere il cerchio nella squadra che lo aveva lanciato in Europa. Doveva essere il leader tecnico ed emotivo del nuovo corso, il simbolo di un club che cercava identità ed entusiasmo. L’infortunio accusato nelle prime settimane ha sicuramente rallentato il suo impatto, ma una volta rientrato, il cileno è stato lasciato ai margini, impiegato con il contagocce, spesso negli ultimi minuti, quasi mai in partite realmente decisive.
Quella che avrebbe dovuto essere una gestione attenta, graduale e rispettosa delle condizioni fisiche di un campione, è invece sembrata una strategia dettata più dalla diffidenza che dalla valutazione tecnica. Sanchez non è mai stato messo al centro del progetto, anzi: non è mai stato realmente considerato una risorsa, nemmeno nei momenti in cui la squadra avrebbe avuto bisogno di esperienza, personalità e visione di gioco, nemmeno in un finale vissuto senza Thauvin e Lucca.
La colpa principale di Runjaic, al netto delle sue convinzioni tattiche, è proprio questa: non aver mai cercato davvero di capire il valore umano e simbolico del giocatore, oltre che quello tecnico. Non ha trovato una collocazione in campo, non ha costruito nulla attorno alle sue qualità, non ha avuto il coraggio o la volontà di provare a recuperarlo pienamente. Come se Sanchez fosse un corpo estraneo, un favore fatto alla piazza, un orpello più che un’opportunità.
E questo, per un calciatore del suo spessore, che oltre ad aver scritto la storia dell'Udinese e aver lasciato un segno indelebile nel cuore dei tifosi friulani, ha vestito le maglie di Barcellona, Arsenal, Inter, è un torto difficile da perdonare. Soprattutto se, come lo stesso Alexis ha lasciato intendere, sono mancate anche considerazione e rispetto personale.
Il futuro, a questo punto, sembra già scritto: Sanchez lascerà Udine, e lo farà con amarezza. Le sue parole – “Spero di andare in una squadra che mi dia la possibilità di giocare e continuità. Sono professionale da quando ho 15 anni” – sono un addio annunciato, aggravato dal fatto che con l’eventuale permanenza di Runjaic (nonostante il cambio di proprietà in corso) non ci saranno margini per ricucire lo strappo.
Un’occasione persa per tutti: per l’allenatore, che non ha saputo valorizzare un campione; per il club, che non ha sfruttato appieno l’effetto di un ritorno romantico e importante; per i tifosi, che hanno visto sfumare il sogno di riabbracciare davvero il loro numero 7. In un momento di transizione per l’Udinese, anche questa vicenda lascia l’amaro in bocca e rappresenta l’ennesimo segnale di un’annata sbagliata, in cui troppe scelte – anche quelle umane – sembrano non aver trovato la giusta misura.
Autore: Stefano Pontoni / Twitter: @PontoniStefano
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