Ciò che si sapeva essere l'Empoli farcito di ragazzi motivati e uniti dal carisma del quasi settantenne Andreazzoli, al quale sono bastati un paio di correttivi e aumentare i giri per travolgere nella ripresa la fragile impalcatura bianconera.
E siamo qui ad ascoltare da Luca Gotti la solita autoflagellazione, l'analisi impietosa su sbadataggini ed errori, su interpretazioni sbagliate, come fossimo ai primi di settembre con una squadra da assemblare e istruire, e non a tre partite dalla fine del girone d'andata, con 16 punti in classifica in altrettante gare disputate.
Un tempo si retrocedeva con un punto a partita. Oggi non più, ce la caveremo anche stavolta per miserie altrui, ci salveremo senza gloria e senza gioie, trascinando stancamente il nostro tifo verso un'altra stagione che ogni volta s'immagina diversa e che invece si perpetua anemica e stentata, irritante. Se non t'aiuti, anche la fortuna ti abbandona. Nel 4 – 3,5 – 2,5 dove il 5 impersonifica Deulofeu, che galleggia tra le dimensioni di attaccante e centrocampista esterno sembrava che Gotti avesse trovato una chiave tattica futuribile per ottimizzare la resa dei suoi uomini, un'evoluzione che comporta il sacrificio di uno dei giocatori umanamente più apprezzati come capitan Nuytinck. L'olandese è uomo da trincea e per scarsa mobilità entra in difficoltà quando, alzando la linea a quattro, alle spalle devi concedere spazi da recuperare in velocità sui contrattacchi. Detto per inciso: si comincia a capire perchè a suo tempo Tudor l'avesse escluso dai suoi progetti.
Non è stato fortunato Gotti perchè sul più bello, al momento della verifica dopo il pareggio thrilling dell'Olimpico, d'un colpo ha perso, oltre al lungodegente Pereyra, tre interpreti collaudati come Becao, Molina e Walace. Dopo soli 45' si sono squagliati centrocampo e a cascata la difesa. Ma c'è di più. Nonostante tutto, l'Udinese ha avuto in canna almeno cinque nitide opportunità da gol, divorate da Beto e da Success. Strano tipo il nigeriano Isaac: con quel fisicaccio dà l'idea del duro, le opere ci svelano invece un buono, altruista fino all'autolesionismo, cui hanno messo in testa che in paradiso si va con gli assist a ogni costo, e non con i gol possibili a tre metri dalla porta.
Boh, magari si sbaglia a giudicare da lontano. Però non c'è altro mezzo per decifrare gli eroi di oggi. Ai miei tempi si scambiavano quattro chiacchiere con Zico che incontravi nel cortile delle Dimesse andando a prelevare i figli a scuola; prendevi il caffè in centro con Bierhoff e Poggi e Calori; mezza squadra si univa ai tifosi nelle festose adunate dei club; gli allenatori si confidavano e spiegavano con un invito a cena chiedere al direttore Marino, che certo non ha
dimenticato.
Quella era un'Udinese orizzontale, l'Udinese di tutti che si spalmava coinvolgendo il suo Friuli, ognuno per la sua parte impegnato a sventolare la bandiera bianconera. Basta, stop alle nostalgie. Va preso atto del mutare dei tempi e con essi della cultura del calcio. Ne conviene anche un principe dei commentatori come Sconcerti: “Non viviamo in un mondo condiviso, le società sono entità estranee, non comunicano più, non parlano alla loro gente”.
E' un calcio autoreferente, che parla da solo e non si confronta, ogni critica è vista come un attacco diretto. E' il passaggio da “soci”, sia pure di sola passione, a clienti, a fruitori di uno spettacolo. Per questo liberi - se l'offerta non è gradita - di chiamarci fuori, senza sensi di colpa.
E siamo qui ad ascoltare da Luca Gotti la solita autoflagellazione, l'analisi impietosa su sbadataggini ed errori, su interpretazioni sbagliate, come fossimo ai primi di settembre con una squadra da assemblare e istruire, e non a tre partite dalla fine del girone d'andata, con 16 punti in classifica in altrettante gare disputate.
Un tempo si retrocedeva con un punto a partita. Oggi non più, ce la caveremo anche stavolta per miserie altrui, ci salveremo senza gloria e senza gioie, trascinando stancamente il nostro tifo verso un'altra stagione che ogni volta s'immagina diversa e che invece si perpetua anemica e stentata, irritante. Se non t'aiuti, anche la fortuna ti abbandona. Nel 4 – 3,5 – 2,5 dove il 5 impersonifica Deulofeu, che galleggia tra le dimensioni di attaccante e centrocampista esterno sembrava che Gotti avesse trovato una chiave tattica futuribile per ottimizzare la resa dei suoi uomini, un'evoluzione che comporta il sacrificio di uno dei giocatori umanamente più apprezzati come capitan Nuytinck. L'olandese è uomo da trincea e per scarsa mobilità entra in difficoltà quando, alzando la linea a quattro, alle spalle devi concedere spazi da recuperare in velocità sui contrattacchi. Detto per inciso: si comincia a capire perchè a suo tempo Tudor l'avesse escluso dai suoi progetti.
Non è stato fortunato Gotti perchè sul più bello, al momento della verifica dopo il pareggio thrilling dell'Olimpico, d'un colpo ha perso, oltre al lungodegente Pereyra, tre interpreti collaudati come Becao, Molina e Walace. Dopo soli 45' si sono squagliati centrocampo e a cascata la difesa. Ma c'è di più. Nonostante tutto, l'Udinese ha avuto in canna almeno cinque nitide opportunità da gol, divorate da Beto e da Success. Strano tipo il nigeriano Isaac: con quel fisicaccio dà l'idea del duro, le opere ci svelano invece un buono, altruista fino all'autolesionismo, cui hanno messo in testa che in paradiso si va con gli assist a ogni costo, e non con i gol possibili a tre metri dalla porta.
Boh, magari si sbaglia a giudicare da lontano. Però non c'è altro mezzo per decifrare gli eroi di oggi. Ai miei tempi si scambiavano quattro chiacchiere con Zico che incontravi nel cortile delle Dimesse andando a prelevare i figli a scuola; prendevi il caffè in centro con Bierhoff e Poggi e Calori; mezza squadra si univa ai tifosi nelle festose adunate dei club; gli allenatori si confidavano e spiegavano con un invito a cena chiedere al direttore Marino, che certo non ha
dimenticato.
Quella era un'Udinese orizzontale, l'Udinese di tutti che si spalmava coinvolgendo il suo Friuli, ognuno per la sua parte impegnato a sventolare la bandiera bianconera. Basta, stop alle nostalgie. Va preso atto del mutare dei tempi e con essi della cultura del calcio. Ne conviene anche un principe dei commentatori come Sconcerti: “Non viviamo in un mondo condiviso, le società sono entità estranee, non comunicano più, non parlano alla loro gente”.
E' un calcio autoreferente, che parla da solo e non si confronta, ogni critica è vista come un attacco diretto. E' il passaggio da “soci”, sia pure di sola passione, a clienti, a fruitori di uno spettacolo. Per questo liberi - se l'offerta non è gradita - di chiamarci fuori, senza sensi di colpa.
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