Durante la pausa per le Nazionali inevitabilmente, pur amando tantissimo l’Italia, c’è tanta noia. Si ferma quasi (le categorie minori continuano a giocare) tutto, le voci assurde impazzano pur di riempire le pagine dei giornali e il week-end, per noi calciofili, è surreale. È però forse il momento migliore per qualche elucubrazione mentale, quelle analisi che forse portano a poco, ma che possono essere belle per sognare o per rivivere certi spezzoni del passato. In questa rubrica ho deciso di analizzare il secondo decennio degli anni duemila dell’Udinese, dove si è vista forse l’Udinese più bella della storia, ma forse anche una delle più brutte (in A), ma dove, soprattutto, è avvenuto il passaggio di testimone tra Giampaolo Pozzo e Gino Pozzo.
La stagione 2013/2014 è cruciale, non tanto per i risultati sportivi ottenuti, ma per alcuni fatti che segneranno l’immediato futuro dell’Udinese. Giampaolo Pozzo infatti lascia definitivamente il timone al figlio Gino. Inoltre partono ufficialmente i primi lavori per rifare lo stadio, progetto tanto agognato dal vecchio paròn, che può lasciare con quest’ultimo regalo. Gino inizia subito a mettere la sua impronta sulla squadra. Innanzitutto via Larini e dentro Giaretta, DS del miracolo Novara e che porta ad Udine il talentuoso Bruno Fernandes proprio dalla sua ex squadra. Si rivelerà uno dei direttori meno di spessore della storia friulana. Dopodichè si intensifica il progetto di creare uno staff di proprietà, limitando l’allenatore ad avere solo il proprio vice di fiducia e al massimo un preaparatore. Sul mercato poi la politica conservativa viene portata agli estremi. Grazie ai riscatti multimilionari di Cuadrado e Candreva da parte di Lazio e Fiorentina, viene ceduto come big il solo Benatia, per soldi più le metà di Verre (che viene girato in prestito) e Nico Lopez. Quest’ultimo è probabilmente anche l’unico nuovo arrivo a trovare effettivamente spazio nel solito pacco di giovani arrivati in estate.
Guidolin perde un altro pezzo e inoltre in estate s’infortuna gravemente alla spalla Brkic, sostituito dal nuovo acquisto Kelava, sulla carta portiere di livello internazionale (diverse presenze in Champions con la Dinamo Zagabria) ma che rapidamente metterà in mostra i suoi limiti. In difesa dunque Heurtaux affianca ora Danilo e Domizzi. In mezzo al campo Gabriel Silva è il titolare di sinistra (Armero era partito a gennaio), a destra c’è il solito Basta, in mezzo Allan e Pereyra affiancano Lazzari. In avanti il vero piatto forte. Ci aspetta tanto dalla coppia Di Natale-Muriel, dopo i colpi fatti vedere nel girone di ritorno della stagione passata. Vengono subito soprannominati “Dinamu”. È evidente però che non è più l’Udinese degli anni passati. Tante scommesse in campo, per ruolo ed esperienza, che portano a tante domande.
Quesiti che ricevono risposte negative quasi subito. Nei preliminari di Europa League l’Udinese si libera del Siroki con uno 0-4 in Bosnia che è anche la vittoria con più gol di scarto ottenuta dai bianconeri nella propria storia europea. Poi ai Play-Off lo Slovan Liberec, squadra inferiore, ma ostica, soprattutto se affrontata a fine preparazione e infatti accade l’impensabile. A Trieste (al Friuli erano iniziati i lavori) i cechi ottengono un clamoroso 1-3, dopo una partita incredibile, in cui la banda di Guidolin ha preso tre pali e ha dominato, ma la sorte ha detto Slovan, soprattutto pensando che due dei loro tre gol sono arrivati da tiri da distanza siderale. Al ritorno finisce 1-1. Udinese a casa e stavolta la botta psicologica è forte. Il mister non riesce più a plasmare la squadra come vuole. Alla fine del girone d’andata la squadra è quindicesima e solo grazie a un Totò Di Natale, che continua a segnare nonostante tutto.
Le uniche soddisfazioni arrivano dalla Coppa Italia, dove viene eliminata l’Inter con gol di Maicosuel, poi il Milan in rimonta a San Siro grazie a Muriel e Nico Lopez. In semifinale però la solita delusione. Dopo la vittoria in casa per 2-1 sulla Fiorentina, in trasferta arriva un 2-0 ingeneroso, con Di Natale che sullo 0-0 centra una traversa che avrebbe potuto dare tutta un’altra piega alla sfida. Unica nota positiva in campionato invece arriva prima della sfida col Bologna. Si rompe di nuovo Brkic, Guidolin non si fida di Kelava e lancia dal primo minuto il non ancora maggiorenne Scuffet. Scelta che suscita scalpore, ma che ripaga. Le sue parate, unite alle reti di Di Natale permettono all’Udinese di chiudere con 44 punti, vincendo tutti i match salvezza. Nell’annata qualche talento si mette in mostra, ma non si può negare che i risultati siano deludenti. Si parla di un addio in contemporanea di Di Natale e Guidolin. Il primo alla fine decide di continuare, il secondo invece dice basta e si allontana dalla panchina friulana diventando “supervisore delle tre squadre dei Pozzo”, ruolo che però non si attiverà mai realmente.
Lo stadio inizia a prendere forma è questo è un pro, così come uno staff più legato alla società può essere considerato una nota positiva. Però la Legea dice addio per far posto alla sconosciuta HS, la Dacia diventa sponsor a vita, i dirigenti perdono di importanza in favore di Gino Pozzo e l’organico è nettamente indebolito. I segnali iniziano a non essere buoni.
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