L’Europa freme per ricominciare a giocare i campionati. In Spagna il picco sembra non essere ancora arrivato, ma già alcune squadre vogliono iniziare gli allenamenti; in Gran Bretagna idem, con Mourinho che allena alcuni dei suoi in un parco, viene beccato e si scusa: ma intanto lo ha fatto. La Francia si interroga: parliamo di un paese il cui primo cittadino invitava ad andare a teatro mentre la Lombardia agonizzava, e un’ex premiére dame tossiva per finta ad una soirée a sbeffeggiare i suoi ex compatrioti. Mai stati simpaticissimi, i cugini: non tifavo nemmeno per Asterix.
L’Italia ormai ha uno scenario chiaro: passata Pasqua le squadre che hanno giocatori in giro per il mondo (non Udinese e Torino, per dire) li richiameranno per restringerli in quarantena, ed essere pronti ad allenarsi dal 4 maggio in poi. Questo significa che, agli occhi di chi comanda il pallone delle nostre parti, al 28 di maggio o giù di lì si ricomincia. Porte chiuse, tanta ‘tele’ e via così.
Giusto? Sbagliato? Dipende da quali princìpi si hanno chiari.
Se parliamo di agonismo, lasciamo pure stare: tutti gli altri sport hanno deciso che non ci fossero le condizioni per andare avanti; alcuni, il basket per esempio, ha atteso fino all’ultimo per chiudere le danze, ma le cose si erano capite.
Abbiamo capito perché si andrà avanti: i soldi. Tanti, troppi, indispensabili per cui le federazioni, la UEFA, le squadre (ad eccezione, pare di capire, del Brescia di Cellino) si prenderanno i propri rischi turandosi il naso, giù di tamponi e sierologiche e via che si va.
Sembra esistano protocolli per rendere il tutto sicuro; obiettivamente i numeri dicono che fuor da quattro regioni i casi stanno calando inesorabilmente, evidentemente per ragioni di comportamento e una buona dose di fortuna. Nessuno mi parli di ‘modello Italia’: una nazione modello non deve chiamare gli alpini a costruire un ospedale da campo, una nazione modello non taglia orizzontalmente. Ma niente polemiche, andiamo avanti.
Si giocherà, ma per me i giocatori di Parma e S.P.A.L. fermi sui gradoni d’ingresso alla ‘pelosa’ dello stadio Tardini sono equivalsi alla fine delle ostilità. ‘Finish’, diceva il bidello alla fine delle lezioni.
Lì tutto si è chiuso. Non è esistita la supersfida Juve-Inter, tantomeno la farsa del Friuli fra i bianconeri e la Viola (ha ragione Mario Sconcerti). Non esisterà uno scudetto, che invece un ex collega giudica importante come quello del 1915.
Lì tutto si è chiuso: si potrà anche ripartire ma senza alcuna emozione.
Tutto ciò avviene solo perché senza i denari dei diritti televisivi tante, troppe squadre potrebbero andare gambe all’aria, avendoli messi a bilancio; avviene perché se non si chiudono i campionati non si potrà procedere con le gare rimanenti di Champions ed Europa League, equivalenti ad altri denari che significano ossigeno per le squadre di punta.
Tutto ciò avviene per evitare ricorsi, un’estate di carte bollate e sedute in tribunale, sportivo e ordinario. Con buona pace del signor Cellino, che afferma di non voler schierare la squadra anche in caso di continuazione. Voglio celiare con lui, che l’altra sera tacciava di ignoranza colleghi di una rete lombarda che lo intervistavano, rèi, i colleghi, di non sapere nulla di bilanci e come interpretarli. Ecco: io i bilanci li so leggere. E anche il board della federazione inglese. Così, senza alcuna vena polemica. Voglio celiare: se il Brescia è la squadra che ha schierato contro l’Udinese, in formato non certo splendor, allora li tenga pure a casa.
L’importante è che nessun dirigente ammanti le proprie decisioni di moralità, trincerandosi dietro la sicurezza delle persone: gli spettatori stanno a casa. I giocatori sono supertutelati.
Se io mi disinteresso della prosecuzione, è per ragioni agonistiche. Dopo due mesi di stop forzato si è perso l’aìre del campionato, l’emozione dell’attesa della successiva gara. Ci saranno dei verdetti, perché una massima serie A 2020-21 a ventidue squadre è un’aberrazione bella e buona; ci saranno per le ragioni, legal-economiche, indicate prima. Basta, il resto è storia giocata e non giocanda.
A me non sarebbe dispiaciuta una soluzione ai playoff, ma di certo gli sconfitti o gli esclusi avrebbero ricorso e allora da capo a dodici; nemmeno la soluzione alla sudamericana di Galliani con un campionato che coincida con l’anno solare, tipo le stagioni del motorsport o, appunto, le ‘temporadas’ dell’America Latina. La verità è che si chiuderà questa stagione alla bell’e meglio, si daranno medaglie e retrocessioni, si promuoveranno squadre come da copione, poi l’anno prossimo si ricomincerà, sperando in una situazione meno drammatica e più vicina alla normalità. Scordiamoci, secondo me, gli spettatori sugli spalti per sei, otto mesi dalla ripresa di fine maggio: nella cosiddetta ‘Fase 2’ la distanza sociale richiesta non riuscirà a maritarsi con quel che accade sugli spalti. Magari mi sbaglio, scaglioneranno gli spettatori ma non so come si possa far mantenere un metro o più di distanza quando ci sono 40-50000 spettatori che in un paio d’ore debbono poter prendere posto sugli spalti. Meglio le porte chiuse, soprattutto per chi deve garantire la sicurezza.
Ricominceranno, ma io rimango seduto. Scriverò di calcio perché non ne posso fare a meno: ma l’entusiasmo dei mesi belli, già demolito dalle prestazioni bianchenere delle ultime stagioni, scenderà definitivamente a livello della temperatura montana nel tardo autunno: zero. O sottozero.
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