Quando pensiamo a una società di calcio la suddividiamo fra dirigenti e/o proprietari, settore tecnico e giocatori. Ognuna di queste tre parti è divisa dalle altre in base alle diverse funzioni che assolve. Le società di calcio non potrebbero ricercare gli utili, sulla carta. L’obiettivo formale è la vincita del campionato, ma sappiamo benissimo che ad aggiudicarsi lo scudetto sono un numero sparuto di squadre. Nella realtà, alcune squadre ricercano l’utile.

Per capire come mai l’impresa Udinese sia in crisi ormai da tre anni, è necessario stravolgere la normale classificazione della società di calcio ed analizzarla, invece, secondo gli scopi reali. L’Udinese è una società che produce calciatori. Secondo il modello della "Black Box" abbiamo un input (calciatori a basso prezzo ed alte potenzialità) una trasformazione (l’emergere delle potenzialità durante un campionato di calcio) ed infine un output (vendita sul mercato dei suddetti giocatori a un prezzo maggiorato). Tutto normale finora. Ma allora cosa si è rotto? Cosa è entrato in crisi? Nella scatola nera, dove avviene la trasformazione di valore, siamo abituati a vedere una gerarchia. I dirigenti decidono, gli allenatori mettono la squadra in campo e i giocatori vincono o perdono (…) le partite. La situazione reale è diversa.

Per capirla bisogna far finta che l’Udinese sia una impresa artigiana meccanica. I pezzi devono aumentare il proprio valore e devono essere plasmati secondo caratteristiche fisiche. Chi compra deve trovare il miglior metallo al minor prezzo, ma poi sono gli operai a creare i nuovi prodotti. Ne consegue che certi giocatori sono come macchinari, altri sono come materia prima. Lo staff tecnico e parte del dirigenziale sono gli operai. Ed è qua che nasce la crisi bianconera. I macchinari che aiutano gli operai a plasmare la materia prima e accrescerne il valore sono lo zoccolo duro dei senatori, storicamente italiani con poche eccezioni (una su tutte, Nestor Sensini). Per essere senatori devono condividere lo stesso credo ed essere importanti nella squadra e nello spogliatoio. Da Calori, a Bertotto, passando per Pinzi e Domizzi, senza scordare l’eterno Di Natale o l’importantissimo Poggi. Sono i macchinari che permettono alla materia grezza di diventare prodotto di lusso, coadiuvando il lavoro dell’operaio. La vittoria è funzionale, non è lo scopo. Ma maggiori sono le vittorie, maggiore è l’accrescimento del valore.

Ora, succedono due cose strane all’Udinese. La prima è che l’artigiano non ha rinnovato i macchinari. Anzi… li ha dismessi. L’Udinese attuale non ha dei senatori veri. Domizzi non è un titolare, Danilo sì. A centrocampo non c’è nessun leader e Totò Di Natale in attacco deve alternare le comparsate per evidenti limiti di età. Abbiamo detto che una macchina performante è quella che spesso gioca e porta sul rettangolo verde la propria esperienza e la mentalità della società. E’ stato ceduto Pinzi e nessuno dei giovani è stato fatto crescere in casa. C’erano speranze per Faraoni e Angella, abbiamo acquistato Verre ma tutti vengono mandati a farsi le ossa lontano da Udine, nonostante giochino meglio di molti giovani stranieri acquistati negli ultimi anni.

La calibratura dei macchinari va fatta internamente, perché è dalla conoscenza che si plasma la cultura (la mentalità). Tocca all’artigiano far sì che i macchinari funzionino, che vengano testati, preferibilmente ad opera dell’operaio. C’è stata una sorta di luddismo capitalista, un artigiano ha lasciato che i propri macchinari diventassero obsoleti, non li ha cambiati. Non è un fenomeno tanto raro nelle piccole aziende: all’acquisto di macchinari più performanti si preferiscono i leasing di auto costose. Poi arriva la crisi… La seconda stranezza dell’Udinese è l’appello dei senatori da parte della società. Vogliono registrare i macchinari? Ma chi comanda in officina, gli operai (lo staff tecnico) o i macchinari?

Perché avviene questo? Per ignoranza, non nel senso offensivo del termine. Semplicemente perché si è ignorato il capo reparto bravo, ma magari dal carattere tignoso, che aveva avvertito anni fa che andava rifatto il parco macchine, perché senza quelle un operaio fa fatica ad accrescere il valore dei prodotti, troppi sbaffi, troppi pezzi che non rispondono all’analisi della qualità. Chi doveva comprare macchinari e testarli, li ha invece venduti ed ha allontanato la “nuova tecnologia”. Ogni riferimento al direttore sportivo e/o chi ne decide le attività è puramente voluto.

E visto che parliamo di acquisti e vendite, perché non nominare il magazzino. Se non vendi oggetti storici (auto, vespe, moto, orologi etc …), il magazzino si deprezza. Già l’ultimo anno di Guidolin ha fatto capire che non si può tenere “prodotti” a magazzino, quest’anno ne abbiamo almeno due che fino all’ultimo pareva dovessero partire per altri lidi ed invece sono rimasti. Nessuno mette in dubbio la loro professionalità, ma le motivazioni possono umanamente (...) venire meno. Il magazzino, se va bene si deprezza, se va male può diventare una mela marcia. La paura di ipotetici utili minori causa quasi certe perdite future.

L’Udinese è un’officina senza macchinari nuovi. C’è un artigiano che è più affezionato a questi macchinari che agli operai che lo consigliano di ammodernarli. Così, Colantuono è un operaio che deve fare pezzi a mano, con arnesi da poco, con quei pochi macchinari che ancora funzionano. Di fianco a lui tutti gli altri operai tengono la testa china. Questo svilisce le qualità merceologiche dei prodotti, e se ne dà la colpa all’operaio. Gli si può chiedere miracoli?

Sezione: Editoriale / Data: Ven 25 settembre 2015 alle 08:00
Autore: Giacomo Treppo
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