Correva il primo maggio 1994.

Quel giorno, al mattino, Ayrton Senna leggeva la Bibbia e segnatamente il versetto che dice ‘Oggi Dio ti darà il dono più grande: Dio stesso’. Una sospensione si ruppe nel suo schianto e gli fece conoscere l’Altissimo: sarebbe bastata una spanna e sarebbe uscito illeso, urlando contro Balestre, dopo Rubens miracolato e Roland no. Orologi che si fermano, poco da fare.

Erano anni di ‘not-just-in-time’: niente cellulari ultraconnessi, niente campionato-spezzatino, addirittura scrivevamo lettere d’amore. Pensate l’antichità: con la penna, ed in italiano…

In Slovenia ci salvava una radiolina; ce n’eravamo andati all’estero, rinunciando alla trasferta torinese. Era chiaro che la Reggiana avrebbe fatto risultato a San Siro (la vittoria valeva due punti) e persino espugnare il Comunale di Torino, dopo il 3-3 (rimonta cremonese da 0-3) griffato dal povero Borgonovo di sette giorni prima ci avrebbe condannati.

Ci pensò Vialli a far pendere l’ago della bilancia. Terz’ultimi, nemmeno quart’ultimi (si retrocedeva in quattro, appunto) e ciao serie A.

1994: si pagava in lire, presidente della Repubblica era Oscar L. Scalfaro, del consiglio (ancora per soli nove giorni) Ciampi, sostituito il 10 dello stesso mese da Berlusconi. La ‘top ten’ dei singoli contemplava ‘the rhythm of the night’ di Corona, ‘come mai’ degli 883 e la canzone vincitrice dell’Oscar, ‘streets of Philadelphia’ del Boss. ‘Passerà’ prevaleva a Sanremo sulla falettiana ‘Signor tenente’ E l’Udinese lasciava la serie A.

Una buona parte dei nostri lettori nemmeno era nata; il nostro direttore aveva venti mesi o giù di lì, noi soffrivamo già. Soffrivamo già.

Personalmente ho vissuto quattro regressioni in cadetteria: una me l’avevano abbuonata Trinca e Cruciani (1979-80), una favorita con la penalizzazione (1986-87); per le due successive, invece, ci avevamo pensato da soli.

L’annata successiva, 1994-95, la proprietà allestiva una superformazione; si iniziava con Fedele, giubilato per far posto al nostro Galeone che condusse la squadra ad una tranquilla promozione. Seconda piazza a un punto dal Piacenza capolista, una serie A riconquistata ad Ascoli (5-1), con Bierhoff (centravanti nelle Marche) che sale con la squadra a firmare, per l’anno successivo, col Vicenza di Dalle Carbonare; e Pozzo che, a Telepadova, lo soffia all’ormai ex amico…

Storie di un quarto di secolo fa. Storie che a me sembrano avvenute ieri. Incapacità ‘quinquagenaria’, la mia, ad accettare il tempo che passa.

Nozze d’argento con la moderna massima categoria; alti e bassi, leggende e flop. Ci si esaltava quando Bierhoff incornava l’Inter allo scadere con una testata da antologia; ci si deprimeva quando Shota Arveladze spegneva in gola l’urlo-Uefa, piangemmo e piangeremmo ancora ripensando a Ezquerro ed un altro giovane di cui poi si persero le tracce, tale Iniesta, che invece cancellarono il sogno-ottavi nella Champions di Cosmi.

Ed oggi?

Costretti ad osservare uno spettacolo meno che modesto; a sperare che l’Empoli faccia qualche punto in meno di noi (ma l’Udinese retrocederà solo suicidandosi), che fra dieci giorni si incontri un Frosinone già retrocesso, che S.P.A.L. e Cagliari abbiano lo stesso scarso piglio.

Sperare, oggi. Si soffrì invece quel primo maggio, domenica e festa del Lavoro, sapendo che Ayrton lottava fra una vita ormai quasi esalata e una morte che sapeva di destino eroico, un trentaquattrenne che incarnava sogni e speranze di una nazione intera, ordine e progresso. Sapendo che Gianluca Vialli, ventinovenne cremonese, aveva onorato l’ultima in bianconero (juventino) del Trap, spegnendo quella fiammella sulla quale soffiava anche tale Esposito Massimiliano, ventitreenne laterale partenopeo che faceva, invece, urlare di gioia Pippo Marchioro e la Reggiana debuttante in serie A.

Sperare, oggi. Di rimanere in A, di rivedere una formazione con lo spirito combattivo che la tifoseria meriterebbe, di sapere che la proprietà tira quella famosa riga da cui, finalmente e veramente, ripartire.

Quel giorno perdemmo l’ultima parte dell’innocenza: non quella a termine di ogni ragazzo, ma quell’idea di invincibilità di cui ammantiamo gli eroi moderni.

L’ultima parte d’innocenza, scalfita e non poco quando a perdere la vita era stato Gilles. Definitivamente masticata via con la scomparsa di Marco, Michele, Sic e Dagli-un-giro.

Venticinque anni. Sperando non sia un anniversario da ricordare per sempre, ma solo la tappa necessaria ad arrivare al prossimo traguardo.

Sezione: Editoriale / Data: Ven 03 maggio 2019 alle 06:00
Autore: Franco Canciani
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