All’anagrafe è Arthur Antunes Coimbra. Per i brasiliani è O Galinho. Per i friulani il Messia calcistico. Per tutti gli appassionati è Zico, trequartista atipico, dal dribbling ubriacante e con un tocco di palla capace di lasciare stadi interi a bocca aperta. Dopo 12 anni al Flamengo, scelse Udine nell’estate del 1983. In due stagioni, 39 presenze e 22 gol. 22 perle incastonate perfettamente nella memoria dei tifosi. Non è un caso se ancora adesso nominare il suo nome evoca sempre suggestione ed emozioni in Friuli, ricordando un biennio magico ed un calcio improntato principalmente sulla tecnica pura, più che sulla velocità e sul fisico. Un periodo straordinario per gli appassionati. E Zico? Cosa prova quando ripensa ad aver fatto parte di quel periodo e, soprattutto della storia dell’Udinese?
“E’ senz’altro un piacere perché sono arrivato in Friuli e mi sono sentito subito a casa. Tutto quello che la società ha fatto per me è stato indimenticabile”.
Non ci si è scordati nemmeno della burrascoso trasferimento ad Udine, con la querelle tra il club friulano e la Federazione. Ma come mai O Galinho decise di accettare questa sfida così suggestiva, al posto della comodità di squadre vincenti e progettate per essere protagoniste indiscusse?
“Nel nostro periodo non si poteva scegliere, c’era il cartellino. Le decisioni spettavano alla nostra squadra. Per essere ceduto, doveva esserci un accordo tra società. Era una legge diversa rispetto a quella dei giorni nostri. Diciamo che l’Udinese è stato il club che ha spinto di più per avermi ed io ho accettato di trasferirmi in Italia”.
La Serie A di inizio Anni ’80 era un campionato notevolmente competitivo, dal livello decisamente elevato sotto l’aspetto tecnico-tattico. Zico non nasconde di avere avuto comunque grandi aspettative e buone impressioni dal progetto friulano:
“Andavo in una buona squadra, che voleva crescere e costruire una formazione con l’ambizione di puntare allo scudetto. Era un momento importante nel calcio italiano perché tutti i giocatori più forti volevano andare lì. È stato il campionato più visto nel mondo in quel periodo. Tutti i paesi lo seguivano, così come ora accade con Spagna ed Inghilterra. Inoltre, l’Italia era reduce dalla vittoria al Mondiale del 1982 ed aveva i riflettori puntati addosso”.
Il campione brasiliano è stato accolto come un Re in Friuli e, senza paura, ha parlato di scudetto. Un tabù ad Udine. Purtroppo, il sogno non si è mai realizzato. A distanza di anni, l’asso carioca ripensa con lucidità a quell’obiettivo sfumato. Pondera le parole, non prima di qualche istante di silenzio.
“Sicuramente ha inciso il problema sorto tra Franco Dal Cin e Lamberto Mazza. La squadra si è trovata senza guida nel momento finale. Abbiamo girato all’inizio del girone di ritorno a ridosso del terzo posto ed eravamo molto competitivi. Siamo arrivati all’ultima giornata ancora in lotta per la quinta posizione. Nel secondo anno è cambiato tutto. Ci sono state cessioni importanti. E poi io ho avuto uno strappo muscolare, che mi ha tenuto fuori per quasi tutta la stagione".
Dunque è questo il cruccio maggiore nell’esperienza ad Udine del grande Zico?
“Sì. Credo che ci fosse la possibilità di crescere, ma questo problema interno ha rovinato tutto. Poi negli anni successivi la squadra è cresciuta tanto ed ha anche acquistato giocatori interessanti. Ma senza quel problema…”.
In compenso, si può certamente affermare che il brasiliano ha tracciato la strada anche per altri campioni approdati in seguito in Friuli, come Amoroso. Il carioca sorride ripensando al suo connazionale e al suo arrivo ad Udine:
“Sì sì, io l’ho presentato ai tifosi in piazza. Ha fatto molto bene. Credo che dopo quella squadra l’Udinese ha allestito altre formazioni competitive, ma è anche vero che ha spesso ceduto giocatori importanti nelle stagioni successive”.
A proposito di investiture importanti, la maglia numero 10 è stata un’eredità pesantissima per tutti i successori del grande asso verdeoro. Zico sorride quando glielo si fa notare, ma non nasconde il vanto di aver vestito quella casacca:
“Ho fatto due anni squadra con una storia importante alle spalle. Giocare con quella maglia mi ha sempre dato un motivo d’orgoglio ed è ancora adesso una grande soddisfazione”.
Se il suo nome è diventato parte integrante della storia dell’Udinese, è anche per i gol segnati. Qual è la rete più bella realizzata da O Galinho in Italia? Zico non ha esitazioni, va diritto al punto, come faceva sul campo di gioco:
“Il gol contro la Roma, perché è il prodotto di una bella azione. Ricordo che c’è stata la parata di Brini, lui ha dato palla a Galparoli. Quindi la sfera è arrivata a Causio. Due tocchi e lancio verso la porta. Io ho calciato al volo ed ho segnato. Un grande gol, in una grande partita, nato da una grande azione”.
E diverse marcature erano figlie del suo proverbiale talento sui calci piazzati. Quando la Zico-mania esplose in Italia, si venne a creare una situazione paradossale, con interi stadi che voleva assistere alle Sue prodezze balistiche. Ma c’era un segreto dietro quei gol incredibili?
“Non c’è un segreto particolare. È una cosa naturale. Dio mi ha dato questo dono. Io mi sono allenato bene per mantenerlo”.
Se non è arrivato il tricolore ad Udine è stato anche per merito delle altre formazioni che componevano la Serie A, il campionato più competitivo dell’epoca. Secondo Zico, qual è l’avversario più forte con cui si è misurato in Italia? Il campione carioca è dubbioso inizialmente, ma poi risponde:
“Non lo posso dire. C’erano la Juventus e la Roma, che erano due squadre straordinarie. Poi è arrivato anche il Napoli di Maradona. In generale, comunque, i bianconeri ed i giallorossi erano leggermente superiori agli azzurri”.
E cosa può aver insegnato questa esperienza ad Udine ad un tecnico come Zico?
“Difficile da dire. Sono stato poco tempo in Italia. Una particolarità degli italiani è la concezione diversa delle partite. Un’amichevole è una cosa, la partita ufficiale è un’altra”.
O Galinho è arrivato in Italia con la fama di campionissimo. Una reputazione costruita nel tempo grazie ad una mentalità vincente ed un palmares ricchissimo. Com’è stato approdare in un ambiente con scarsa confidenza con i piani alti? Anche lui ha incontrato difficoltà ad estendere la sua filosofia calcistica ai compagni di squadra?
“No, non molta, perché la nostra squadra era troppo giovane. Bisogna imparare ad acquisire una mentalità vincente. In generale l’Udinese aveva comunque una buona rosa. Non è un caso se molti giocatori sono diventati campioni in altre squadre. Ad esempio Virdis ha fatto la fortuna del Milan, De Agostino è andato bene alla Juve, Gerolin ha giocato nella Roma. Credo che l’Udinese, senza quel litigio, avrebbe potuto acquistare altri giocatori. Dal Cin aveva fatto un buon mercato e noi eravamo in una posizione ideale. Sono sicuro che, se lui fosse rimasto, non sarebbero partiti altri giocatori. Era una squadra in grado di durare. Si trattava di un progetto triennale”.
Ma, forse quello che più rimane di questa splendida avventura è l’amore tra il brasiliano ed il Friuli. Cosa ha dato dal punto di vista umano quel territorio ad un asso del calcio come il Galinho?
“Tutto perché mi sono adattato bene. Ringrazio i friulani per quello che hanno fatto per me. Sono sempre in contatto con molti di loro. Questo mi fa tanto piacere. Udine è una città con la gente che mi cerca e mi vuole bene come se fossi un figlio. Mi fa piacere parlare del Friuli. Mi dà tanta gioia. Credo che di aver dato un grande contributo a far conoscere Udine nel mondo”.
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