10 maggio 2009. È la data dell’ultima gara di Udine (allora Snaidero) in Serie A. In campo c’era un 22enne Michele Antonutti che ora da Brand Ambassador rivivrà le emozioni di vedere la massima serie sotto un’altra veste. Ai nostri microfoni, il “Cigno” ci ha raccontato le sue sensazioni in vista dell’esordio.
Udine ritorna in Serie A dopo 16 anni, l’ultima volta con Michele Antonutti in campo: ti saresti mai aspettato di dover aspettare 16 anni per ritornare nella massima serie?
“Non avrei mai pensato che Udine non potesse essere in A ma nello sport purtroppo la storia è ciclica e l’era Snaidero era al termine. A quell’età pensavo solo a giocare e mi ricordo che al termine della gara contro Rieti sono corso dal fisioterapista per farmi dare la bandiera del Friuli e ho fatto un giro di campo per salutare la mia città e il mio palazzetto, con il sogno un giorno di poterla ritirare fuori una volta tornato a Udine”.
Adesso il ritorno in A l’hai vissuto da protagonista ma in un’altra veste come Brand Ambassador: che effetto ti fa?
“Sono forte e intense emozioni, completamente diverse da come le vivevo in campo. Io ho sempre avuto tanta pressione addosso, era da molti anni che nel calcio o nel basket non usciva un giocatore forte friulano. Il mio arrivo a 14 anni fece clamore e ho sentito subito la pressione. Per me è stato però un privilegio e vedere la maglia numero 9 ritirata vuol dire tanto. Ora ho imparato il mondo che c’è dietro, una vera e propria azienda che è importante che lavori bene con la giusta armonia”.
Come si è voluta questa tua figura?
“Udine è stata brava a capire come questa figura sia e sarà importante nella pallacanestro. Prima di me non dimentichiamo che c’era Gigi Datome all’Olimpia Milano, poi ha deciso di intraprendere il percorso in Federazione. È un ruolo in cui bisogna studiare tanto e far capire a chi è al di fuori la realtà che anima poi la squadra che scende in campo. Conta molto il rapporto con le istituzioni, con i giovani e con la comunicazione. È una sfida interna per me, da giocatore le ho vissute tutte quelle possibile e ora è una nuova per me”.
Il ritorno al Carnera sarà contro la Virtus Bologna: forse la sfida migliore possibile?
“È una gara che Udine storicamente sente molto. Già ai tempi della Snaidero, quando arrivava la Virtus i botteghini esplodevano. Si tratta di una sfida che ha un fascino particolare, quindi mi immagino la grande attesa che c’è per questa partita. Speriamo che sia bella, intensa e piacevole. Poter rivedere il basket al massimo livello credo sia un grande privilegio per noi udinesi”.
Il debutto vero e proprio è a Reggio Emilia, forse il periodo più bello della tua carriera da giocatore:
“Sì, era anche una fase di completezza mia dal punto di vista umano. Ho capito cosa voglia dire vincere e cosa voglia dire condividere lo spogliatoio con grandi campioni. Sarà una grande emozione per me, mi hanno fatto sentire la loro vicinanza anche da Reggio. Io non entro dal PalaBigi dalla partita di addio di Kaukenas, quindi sarà una doppia emozione per me ritornare al palazzetto dopo più di dieci anni. Hanno una storia di pallacanestro simile a quella udinese”.
Che palazzetto dobbiamo aspettarci? Per loro il fattore casa l’anno scorso è stato fondamentale:
“Non è una tradizione di tanti anni fa. Quando arrivai in A2 mi ricordo di una gara con Brescia in A2 in un palazzetto semi deserto. Quella promozione ottenuta a fine stagione però, ha permesso una crescita di tutta la società e di conseguenza ha riacceso il vecchio tifo che c’era ai tempi delle Vecchie Cantine Riunite. Con la promozione ho visto la gente piangere e risvegliare quella passione. Una crescita importante, simile a quella che sta vivendo Udine. Quando sono ritornato in Friuli nel 2019, c’è stato un avvicinamento costante della gente al Carnera, tanto che ora è piccolo per il tifo che c’è qui”.
Domenica che gara ti aspetti? Paradossalmente è la gara più insidiosa delle prime quattro:
“Reggio Emilia non sottovaluta questa gara perché di solito gli esordi non sono stati ottimi. Dal punto di vista fisico siamo in due situazioni diverse. Loro hanno già giocato i turni di qualificazioni in Europa, arrivando già alla giusta tensione emotiva. Udine, invece, ha avuto solo test precampionato. Molti giocatori di Reggio Emilia conoscono bene il campionato italiano, compresi gli americani, mentre l’Apu ha tanta gente al primo anno qua. C’è tanta voglia di mettersi in gioco, le motivazioni sono forti ma sono opposte tra due società simili nella progettualità”.
C’è un giocatore nell’Apu che un po’ ti assomiglia: Bendzius. Che cosa può dare a questa squadra?
“È un giocatore importante perché ha le capacità tecnico-emotive per decidere le gare e sostenere Udine nei momenti di difficoltà. Parla molto, soprattutto con gli arbitri e gli avversari e questo conta. È un giocatore bello da vedere e pulito, un po’ mi assomiglia e pensare che è 207 centimetri fa impressione. Ha grande qualità e velocità di tiro. È molto intelligente, spesso cambia il modo di fare il pick and roll in base alla qualità della difesa e al giocatore con cui fa questa situazione di gioco. Poi ogni tripla messa si bacia il polso, mentre io indicavo il cielo. Ci sono delle somiglianze e fa piacere, perché rivedere la tecnica pura nel basket è qualcosa di sempre più raro”.
La sorpresa dell’Apu in questa pre stagione è Brewton: che giocatore può diventare?
“Ha un’esplosività e un passo importante. Poi è fatto di gomma: prende il contatto, cade e si rialza immediatamente. Il suo grande salto di qualità sarà la capacità di giocare al suo livello per tutti i minuti in cui gli sarà richiesto. Il campionato italiano non è il più difficile d’Europa dal punto di vista tecnico-fisico ma lo è per emotività e pressione. Questo è un aspetto che ci portiamo dietro dal calcio, si parla sempre di basket. Gli americani hanno una concezione diversa della regular season rispetto a noi: loro sono abituati a stagioni da 80 partite mentre qua due punti in più o in meno possono determinare una salvezza. È la grande scommessa di Udine, se fa bene può essere un giocatore che a livello europeo farà parlare molto di sé”.
Udine ha cambiato anche i lunghi sotto canestro:
“Udine ha sempre amato la fisicità dei lunghi afro-americani. Ma è sempre stata una fissa di questa città, mentre altre realtà - vedi Trieste - ha sempre avuto una grande tradizione di playmaker. Spencer è un giocatore da corpo di Coppa europea. È solido e fa ombra al canestro, spesso quando vediamo un tiro sbagliato degli avversari è perché lui ha permesso una parabola differente. Questi sono dettagli che magari non vedi nel tabellino, ma pesano. Mekowulu ha sempre avuto una crescita costante e rappresenta anche il percorso che il basket africano sta avendo. Sarà una grande sfida di coach Vertemati cercare di farli giocare assieme”.
A proposito di sfide di coach Vertemati, è un grande prestigio per tutta la società vederlo nello staff dell’Italbasket di coach Banchi:
“Penso sia il sogno di ogni allenatore. Questo è merito anche della visione lungimirante che ha questa società, che va a pescare persone che ancora possono migliorare professionalmente. Vertemati arriva come miglior allenatore della Serie A 2024/2025 e in parallelo, non a caso, Hickey è stato il miglior americano. Sono un grande estimatore di Banchi e questa nomina mi fa piacere perché da adesso Udine entra nel mondo dei grandi. Siamo in A1 e siamo in Nazionale. Non siamo una meteora ma una società solida”.
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