All’intervallo, avendo come compito la cronaca testuale della gara, scrivevo (citando un Claudio Amendola giovanissimo) che non sarebbe potuta finire così. Ieri sera il Napoli ha messo a frutto dieci minuti su novanta di classe eccelsa, dall’alto della propria superiorità tecnica. Ma questa Tezenis, onestamente, oggi come oggi non vale la GSA.
I dieci punti di disavanzo, creati con una brutta gestione dell’ultimo squarcio di primo tempo, non rispecchiavano il valore in campo delle due squadre. Da Portannese e Boscagin Verona aveva ottenuto il massimo. Il duo Frazier – Robinson non vale Okoye-Ray, ma fino al via della seconda ripresa nessuno se n’era accorto.
E la GSA, che mi è amica e ricambia la mia media obiettività, mi ha servito sul proprio parquet d’argento venti minuti di assoluta dedizione: difesa ermetica (diciotto punti dei veronesi contro 34 di Udine negli ultimi due quarti), carattere assoluto, scelte finalmente più sagge al tiro e soprattutto Allan Ray in versione “amico di Rondo” hanno permesso di rosicchiare punto su punto; magari non un parziale demolitore come quello subìto, piuttosto un predominio distribuito sull’intero periodo.
Come a Roseto, Udine si fa scivolare via la crisi subìta a cavallo dell’intervallo; ha finalmente una risposta decisa da Supergino Cuccarolo, il quale in assenza dell’acciaccato Zacchetti sgomita, salta, si tuffa e prende qualche tiro in più; Andrea Traini dimentica il recente passato e torna lo sfacciato SonnyBoy d’inizio campionato (pur con qualche palla persa di troppo); Vitto Nobile e Miki Ferrari sono i gemelli “MarioBros, riparo tutto”. Capitan Manu prende addirittura un terzo tempo e uno “svitamento” da serie maggiore, mentre Pinton mette una tripla decisiva per scavare il primo parziale. Truccolo oggi in ombra, ma signore e signori si arriva pari agli ultimi giri di lancette.
E qui si capisce chi ha, oltre agli attributi, le armi per vincere la gara e chi (mutilato dai falli) non ce la può fare.
Prima Stan Okoye prende la mira e accarezza il cotone; poi, dopo un rimbalzo conteso e conquistato in difesa (credo) da Castelli, il signor Allan Ray, trentaduenne numero venticinque, cresciuto (e si vede) sotto gli anelli con le catene al posto delle retine, shakera la palla; avanti, indietro; finta, esita, crea spazio, si alza e infila tre punti da quasi otto metri.
A quel punto la banda di Frates capisce che oggi non è aria; ci provano, senza convinzione, ma a settanta secondi dalla fine Udine amministra e la porta a casa. Due punti di diamante, ottenuti su un campo sul quale, quando i gialloblu troveranno la quadra, passeranno in pochi.
“Detesto” Alessandro Pedone quando mi toglie le parole di bocca. Perché oggi questa vittoria, con un ultimo quarto vissuto ginocchio a terra davanti al televisore, è figlia del coach di Albenga che i veronesi, griffati Glaxo, ha diretto dal campo per due stagioni alla fine degli anni ’80. L’impronta di Lardo si vede sulla difesa esiziale; sul pressing incattivito che innervosisce gli avversari (vedasi il fallo in attacco di Frazier che sgomita via Truccolo dopo che questi lo aveva esasperato), sulla motivazione con cui il discusso Cuccarolo inizia la gara e tiene a galla i suoi quando al tiro si va col 30% di esito positivo (alla fine sarà oltre il 50%, segno che nella ripresa Udine ha cambiato registro). Soprattutto osservando come nel secondo tempo Verona abbia realizzato quanto l’anno passato gran parte delle avversarie: pochissimo.
Da correggere il black-out con cui si sono concessi quattro possessi pieni di vantaggio alla Tezenis; da lodare la perseveranza nella rimonta, soprattutto (a differenza dei finali contro Forlì e Roseto) il “punto” tenuto e niente scelte poco felici.
Ho ascoltato Davide Micalich sostenere come qualcuno avrebbe commentato in maniera polemica le prestazioni bianchenere. Obiettivamente (lo sottolineo), scevri cioè da qualsiasi parzialità, non vedo come si possa giudicare insufficiente la prima parte di stagione di una squadra neopromossa che viaggia col 50% di vittorie, con almeno due gare perse in maniera discutibile; di una società che ha saputo ammettere una scelta iniziale non felice, mettendoci energie e denaro per rinforzare la squadra; di un gruppo di giocatori che lottano in campo per i propri colori, senza risparmio e ciò aldilà di ogni dubbio. Si sa: ognuno ha la propria idea, e anche stasera qualcuno dirà che Verona era scarsa, che in fondo si è vinto di poco, che se il tiro di Ray non fosse entrato si sarebbe perso. Palle: Frates è un signor allenatore, magari non sarà ancora la miglior squadra del girone ma Portannese, Basile e Pini diventeranno gran bei giocatori. Buono l’arbitraggio odierno: non il mio stile, avrete capito che io tendenzialmente lascio correre invece questi fischiavano parecchio. Ma oggettivamente gli vanno fatti i complimenti, a prescindere dall’esito finale.
Ultimo pensiero per i tifosi al seguito: Verona non è un palazzetto mediterraneo, è grande e neanche gremito; i tifosi scaligeri seguono la gara con un certo qual distacco, è vero: ma per lunghi tratti della gara si sentiva solo la nostra “curva”. Bravi, ve lo dico sempre e insisto a dirlo. E altroché, come sosteneva qualche collega mesi fa (ma si parlava di calcio), prendere esempio dai supporter gialloblu. Udine, in campo e fuori, non ha lezioni da prendere. Da nessuno.
Ci vediamo a Cividale, domenica prossima, contro Imola: in un palazzetto caldo e corretto, gremito di cuori bianchineri. Andrea Costa stenta a trovare la quadra ma non fidiamoci: servono due punti, la settimana successiva ci si sposta solo di qualche chilometro. Sperando in una sorte simile a questo primo derby del Triveneto.
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