È la notte delle lacrime. Lacrime che riempiono i visi degli spettatori. Lacrime trattenute a stento sui volti commossi di chi, con la maglia bianconera stretta al cuore, sta dicendo addio. È la loro notte. Una notte fredda e piovosa che porterà per sempre il loro nome. Una notte in cui anche il cielo ha versato le proprie lacrime. Ė semplicemente la notte di tre uomini che hanno visto l’Udinese e il Friuli come qualcosa di più che una semplice meta professionale. Perché questa terra, così come questa gente, troppo frettolosamente additata come fredda e distaccata, è diventata anche loro. E proprio qui, in questo umile territorio che entra nelle cronache solo per calamità naturali o qualche disgrazia, hanno trovato una casa in cui sentirsi e protetti e amati. Amati follemente, come solo pochi hanno potuto provare e raccontare. È la notte di tre bandiere che continueranno a sventolare, anno dopo anno, non abbassandosi mai. Poco importa se fisicamente saranno lontani, se non li vedremo più passeggiare per le vie del centro o allenarsi sui campi del Bruseschi. Le persone si portano nel cuore. Niente e nessuno potranno strapparceli. Nemmeno un’altra maglia.
È la notte dei grazie. E nulla, tantomeno un’ennesima sconfitta o una prestazione negativa, è riuscita a rovinarla. Lo spettacolo che è andato in scena ad Udine è esclusivamente per loro, quei tre veterani accomodati inizialmente in panchina e messi da parte troppo presto. Compagni di avventure ed imprese e ora di un addio che fa male, terribilmente. Un saluto che fa venire il groppo in gola ma che non impedisce di acclamarli, dall’inizio alla fine. Lo stadio è tutto per quei ragazzotti italiani che entrano nei cori, negli striscioni, nelle foto, nei discorsi. E nei mugugni. Non si riesce proprio ad inghiottire il boccone amaro di non vederli subito in campo. Non si accettano morali sul dover onorare l’ultima partita della stagione. Alle figuracce in fondo si è abituati. Il risultato non conta quando di mezzo ci sono tre calciatori che portano sulle loro spalle i nomi Di Natale, Domizzi e Pasquale. O quando gli altri undici che li sostituiscono non sanno trasmettere il proprio attaccamento verso quei colori così importanti per i friulani. È la notte dei boati da brivido al momento della lettura dei loro nomi, delle occhiatacce verso De Canio e degli sguardi puntati sui movimenti della panchina.
È la notte di una stella del firmamento calcistico, di 17000 magliette sollevate dagli spalti solo per illuminarla un’ultima volta e di una richiesta continua per rivederla riapparire sul campo. È la notte del “fai entrare Totò”, dell’esultanza sfrenata e commovente quando il pallone rotola in rete, dell’urlo che accompagna le sue braccia che puntano il cielo. È la notte della sua passerella sul tappeto rosso del Friuli una volta archiviata una sconfitta che non ha mai importato granché, dei telefonini e delle macchine fotografiche che cercano di immortalarlo per un ultimo ricordo. È la storia di una notte fatta di striscioni che si alzano al suo passaggio, fazzoletti carichi di lacrime, mani che cercano di raggiungerlo, applausi a scena aperta e di cori in piedi assieme agli ultras. È la notte dove fa partire con il megafono il coro Alè Udin e toppa per un attimo una strofa di “un giorno all’improvviso”. È la notte in cui il capitano porta insieme a sé la maglia di Morosini per rendere da lassù anche lui partecipe della sua festa. Una festa arricchita dalle dediche che piovono da ogni dove, anche dai teleschermi dello stadio e dai pensieri delle persone che ha stimato di più.
Ma non è solo la notte di addio del più grande. I tifosi non lo hanno mai dimenticato. È anche la notte di Maurizio Domizzi, del suo sguardo velato di lacrime e commosso, della sua entrata in campo accompagnata da un boato. È la notte del suo lungo giro d’onore accompagnato da tante braccia che lo vogliono stringere forte per dirgli addio, della maglia sfilata in curva, della sciarpa che raccoglie e porta fieramente al collo. È la notte delle sue braccia alzate verso quella curva che ha anche frequentato e della sua voce che intona forte insieme agli ultras “Domizzi spacca Lavezzi”. È la notte in cui i gregari sono giustamente protagonisti. È la notte di Giovanni Pasquale, dei suoi modi pacati e del suo sorriso timido, del suo nascondere le emozioni, dei gridi e delle pacche sulla spalla che lo inneggiano e lo ricordano come l’eroe di Liverpool. È la notte in cui tanti vestono la sua maglietta e dove anche il buon Giovanni canta felice in piedi insieme alla curva.
15 Maggio 2016. È la notte di tre leggende che hanno scritto la storia e conquistato il nostro cuore. E che non moriranno mai.
Voglio ringraziare per queste bellissime parole che ci fanno emozionare per davvero la nostra redattrice Arianna Forabosco. Anche tu, con il tuo lavoro e la tua passione, hai scritto una pagina importante di questa storica serata.
Autore: Stefano Pontoni / Twitter: @PontoniStefano
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