Mi tengo i tre punti. Mi tengo una squadra convalescente. Mi tengo una serie A in cui si stanno staccando nettamente quattro formazioni, e sta anche all’Udinese scavare questo solco. Mi tengo soprattutto Luigi Delneri. Ho ammesso dall’inizio che per lui non avrò parole cattive nemmeno in extrema ratio, sono parziale e me ne vanto. Ma oggi festeggio con lui la sua prima vittoria in bianchenero dal lontano aprile 1980, quando condusse i rigoni centrali stile Ajax a battere i campioni d’Italia in rossonero, guidati in panca dal vecchio amico Giacomini. A memoria, segnarono prima Bigon, e nel finale il carnico “occhi di ghiaccio” Vriz e Livio Pin.
Mi spingo a dire che oggi, con Gioacchino, la gara l’avrebbe vinta il Pescara. Una formazione, quella abruzzese, che gioca un onesto calcio mandato a memoria; priva però dell’attacco (Manaj e Bahebeck) e del fosforo di Valerio Verre, condensa tutta la propria pericolosità in uno shoot di Caprari che bacia la traversa, e nella rete di Aquilani che approfitta d’un’amnesia difensiva incorsa sull’incursione del neoentrato Crescenzi. Poi gira palla, a tratti piacevolmente; ma sterilmente. Oddo dice “in fase propositiva siamo stati migliori noi”, ma le occasioni più ghiotte sono state sprecate dai bianchineri. Per questo il 3-1 non fa un plissé. Gigi da Aquileia ha avuto meno del solito da Jankto, ragazzo giovane che oggi ha forse patito le energie mentali spese (e i susseguenti elogi) nella bella prestazione-gol contro la Juventus; Don Rodrigo è ancora un personaggio in cerca di sé stesso, ha colpi di classe testimoniati dal filtrante con cui mette Zapàta di fronte al vecchio bucaniere Bizzarri (steso da Hugo Campagnaro) ma lunghe pause che ne causano il corretto avvicendamento col folletto di Berekum, appena rientrato dalle indigestioni di casa sua. Kums è troppo timido, e oggi ha perso un paio di palle sanguinose fortunatamente non sfruttate dalle legioni giallo-fluo. Le quali, per altro, in porta hanno tirato praticamente mai.
Gigi da Aquileia ha mostrato la propria identitaria affezione per questi colori nel dopopartita, quando ha bacchettato alcuni colleghi in maniera improvvida. Dice, Delneri, che la parola “salvezza” non va nemmeno prounuciata, né pensata ché loro puntano ben più in alto. Lo sa bene, Gigi, da dove l’ambiente bianconero proviene; il passato recente parla di passi indietro sostanziosi, fino al drammatico “spareggio” di Bergamo, l’anno passato. E non ignora, Gigi, quale sia il maggiore problema di questa squadra: la qualità. Non intesa come tecnica pura, ma chimismo, tempi di squadra, voglia di stare assieme. Lo ripeto: la società ha sbagliato. Bastava prendere un signore come questo, non necessariamente questo, quando hanno deciso per ragioni misteriose ai più di affidarsi alle cure di un profeta, di un Anziate e di un medio professatore di piattume calcistico.
E per recuperare l’autostima, Gigi da Aquileia ostenta tranquillità verso l’esterno: non fa drammi sulle prestazioni, meno positive delle attese, di alcuni; dice semplicemente che no, non si è mai sofferto (in effetti, come detto, tanto fumo ma alla fine poca pericolosità degli adriatici); che in avanti si sono perse occasioni ghiottissime per metterla definitivamente in discesa; che in fondo con questi tre punti il 25% dell’obiettivo di base è raggiunto, ora testa alla Favorita per dare continuità ai risultati e una bastonata decisiva alla formazione di DeZerbi.
Tutto ciò mentre sui giornali il precedente gestore della formazione biancanera ripete all’infinito il suo mantra, fatto di tempo che è mancato, di infortunati, di sfortuna, pali e traverse, di tornado e cavallette. Quel che vedo invece è che dall’avvento di Normalman Delneri gli infortunati risorgono velocemente; Théréau si riscopre quel fine stoccatore che conosciamo; Seko Fofana, trovato il campo, dà tutto sul prato, con speciale menzione per il ventunenne polipo parigino, almeno finché gli regge il fiato. Alla faccia di chi lo definiva “non pronto” (e Verre non buono).
Evidentemente l’Aquileiese li stimola in maniera diversa e sa lavorare meglio dei predecessori su questi giovanotti. Qualcuno richiamava analogie con la gara d’inizio campionato contro l’Empoli: falso. Allora i toscani ebbero sei occasioni da rete, e Karnezis rimediò l’appellativo finale di Sant’Oreste. Oggi, come detto, sì il giropalla ospite si è fatto preferire, ma un’Udinese in forma e contropiede li avrebbe massacrati.
Un caso? Un caso se gli ultimi due allenatori non insopportabili siano ragazzi del paese, uno vero (Delneri) l’altro adottivo (Guidolin)? È un caso se i cori della curva abbiano esaltato proprio loro due?
Ah già. Dimenticavo: Francesco è tornato a casa, per due giorni, ed oggi era allo stadio, con noi. La società, attentissima al marketing, ha quasi del tutto evitato l’argomento: niente interviste, citazioni, targhe ricordo in centro al campo per l’allenatore che più, nella storia recente, ha riempito d’orgoglio le schiere biacca e carbone. Un silenzio urlante, una sconfitta mediatica resa dolorosissima dal coro della curva e dalla manifestazione organizzata dall’AUC dell’amico Daniele Muraro fuori dallo stadio, dove Francesco ha potuto riabbracciare la sua gente. E loro? Niente. Niente. Niente.
Casuale? Probabilmente sì. Per me però è una chiara ammissione di fallimento del vecchio progetto, che negli ultimi anni ha mostrato i propri limiti strutturali. E, come scrivevo avant’ieri, della Vostra strategia di comunicazione.
Adesso, dopo una vittoria, non un trionfo ma una vittoria, chiedo questo alla dirigenza: avete un allenatore grato a tutti, giocatori e supporter; avete un diesse, Bonato, cortese educato preparato; avete, in giro per l’Italia o nella formazione giovanile, virgulti italiani (se non friulani) come Alex Meret, Simone Pontisso, Coppolaro per tacer degli altri. Allora, senza paura fate un’infornata della ventina di foresti inutili che vi siete presi, li spedite senza rimpianti e con mille ringraziamenti e ricominciate un ciclo, un ciclo vero, del quale la spina dorsale sia retta da italiani, da questi italiani di cui alcuni in grado di dialogare in marilenghe con il mister.
Tanto lo sapete, noi siamo qui. E qui rimarremo. Anche a costo di soffrire, almeno un pochino, col Pescara.
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