La notizia di un’offerta della Red Bull ai Pozzo per l’acquisizione dell’Udinese ha fatto scalpore, dividendo i tifosi della squadra bianconera fra favorevoli e contrari. Ma prima di giungere ad una conclusione pro o contro i proprietari del marchio dei tori rossi bisogna chiedersi: chi è davvero la Red Bull e come opera? E’ innegabile che l’attenzione dei sostenitori sia puntata sulla valanga di milioni che una multinazionale come quella salisburghese potrebbe portare in Friuli. Investimenti importanti e traguardi ora non alla portata potrebbero in un immediato futuro diventare realtà. Un colosso delle bibite energetiche che fattura 5000 miliardi l’anno non avrebbe problemi ad aprire il rubinetto delle liquidità per l’ultima, in ordine di tempo, delle quattro società calcistiche di cui detiene la proprietà. Ironia della sorte, l’Udinese passerebbe ad un’altra holding. Non ci sarebbero più i cugini inglesi del Watford bensì altre quattro sorelle gemelle: Fc Red Bull Salzburg, Red Bull New York, Rasenballsport Leipzig e Red Bull Brasil.
L’avventura della multinazionale delle bibite energetiche nel mondo del pallone iniziò nel 2005 in Austria, a Salisburgo, città natale del proprietario Dietrich Mateschitz e sede del colosso austriaco. Undici anni fa la Red Bull acquisì l’Austria Salisburgo, iniziando da subito la rifondazione della squadra e non solo. I nuovi proprietari ricostruirono tutto, dalle fondamenta. Il nome fu cambiato in Red Bull Salzburg mentre i colori sociali passarono dal viola al biancorosso ( in richiamo al simbolo della multinazionale, i tori rossi su sfondo bianco). Non solo. Lo stemma del club divenne quello della multinazionale e il passato dell’Austria Salzburg venne rinnegato. Come? L’anno di fondazione della società calcistica divenne il 2005, anno in cui la Red Bull rilevò l’Austria Salzburg. La nuova dirigenza, di fronte alle prime proteste dei sostenitori, rinnegò ugualmente i trofei conquistati dal team prima della propria gestione, sottolineando come “l’Austria Salisburgo sia una squadra senza storia”. Di fronte a questa politica rivoluzionaria una parte della tifoseria salisburghese, fra cui il tifo organizzato, si oppose all’idea di vedere cancellate le proprie tradizioni, fondando nuovamente l’Austria Salisburgo con i colori sociali originari e ripartendo dall’ultima categoria. La Red Bull, tuttavia, non si accontentò di detenere solamente una squadra nel panorama calcistico austriaco. Decise di comprare il titolo sportivo dell’ USK Anif per farne la squadra B (delle riserve), cambiandone ugualmente i colori e modificandone il nome in FC Liefering. Attualmente in seconda divisione, il FC Liefering si presta ad essere punto di arrivo e maturazione per i giocatori extracomunitari (e non) provenienti dagli altri club di proprietà della Red Bull. L’obiettivo è chiaro: fabbricarsi i talenti in casa, attingendo dalle proprie filiali in Brasile e a New York, pensate come “Academies” (in passato c’era un terzo club in Ghana, venduto nel 2014 perché non generava abbastanza profitto.) Le realtà brasiliane ed americane sono state pensate come bacino per le altre due squadre principe del vecchio continente, Red Bull Salzburg e RB Leipzig. Società europee che indistintamente si scambiano i cartellini dei giocatori, poiché appartenenti alla stessa proprietà. Non è un mistero che la multinazionale austriaca punti a costruire un universo calcistico autosufficiente, con la possibilità di non attingere più al calciomercato. (o, almeno, per la maggior parte). Che senso avrebbe comprare se è possibile scambiarsi i migliori talenti fra le varie appartenenti alla holding? La creazione di un mercato interno, tuttavia, non è l’unico fattore in comune fra le quattro squadre marchiate Red Bull. Che si tratti di Salisburgo o New York, la politica societaria è la medesima: colori biancorossi, stemma con i due tori, cambio di nome della società e dello stadio. Stadio, o meglio Red Bull Arena, ristrutturato ed adeguato alle esigenze commerciali del brand. Immancabile la mascotte (ovviamente un Toro rosso) che gironzola prima e dopo la partita e i seggiolini che vanno a comporre il logo della multinazionale su sfondo blu. Altrettanto peculiare è la ristrutturazione delle zone interne degli stadi, con i due tori rossi che campeggiano ovunque, dalla zona per le interviste agli spogliatoi, fino all’area ospitality.
Se a New York e in Brasile il Toro Rosso non ha incontrato difficoltà ad applicare il proprio modus operandi la situazione è stata tutt’altro che in discesa in Germania. Nel 2006 i proprietari del famoso brand decisero di espandersi e di investire nell’ex Germania dell’Est, poiché priva di club calcistici di rilievo. La scelta ricadde su Lipsia, considerata un buon bacino di utenza e di attrazione per tutti gli appassionati di calcio della Germania orientale. Le due formazioni più importanti della città, il FC Sachsen e la Lokomotive, militavano nelle serie inferiori e, complice il mondiale di calcio svolto in Germania, Lipsia poteva vantare la presenza di uno stadio ristrutturato appositamente per la manifestazione. Il tentativo di rilevare il FC Sachsen tuttavia fu bloccato dalle proteste energiche dei sostenitori della squadra. L’attenzione della multinazionale si spostò allora sul SSV Markranstaedt, il club di una cittadina di 15000 abitati limitrofa a Lipsia e militante in quinta serie. Nel 2009 l’acquisizione della società portò all’ingresso del colosso salisburghese nel calcio tedesco. I dirigenti del brand riuscirono a raggirare la regola che prevede che un privato non possa possedere più del 49% della società calcistica, in quanto la restante percentuale dovrebbe rimanere a base sociale, con quote detenute dai tifosi. L’escamotage è stato ben presto trovato grazie alla possibilità di respingere le richieste di acquisto senza dover dare alcuna giustificazione. Risultato? Il restante 51 % appartiene a persone vicine alla Red Bull, rendendo di fatto la RB Leipzig pienamente controllata dai vertici del "Toro Rosso".La via per l’omologazione della squadra ai principi societari fu più complicata anche per via delle normative più stringenti in materia di nome e stemma. In Germania, infatti, è vietato portare un nome identico ad altre squadre professionistiche già esistenti nel mondo. Ma la Red Bull è riuscita ugualmente a fare inserire le proprie iniziali nel nome della società, rinominando il club RasenBallsport (letteralmente sport con la palla sul campo). Chiaro il riferimento alla multinazionale, visto l’improbabile nome della società calcistica. Nello stemma non è stato ugualmente permesso inserire la scritta Red Bull ma vi è comunque la presenza dei due tori.
Cambiano i continenti e le città, ma la politica portata avanti dai Tori Rossi è sempre la stessa. Probabilmente anche a Udine sarà tabula rasa. Ora la domanda più importante va rivolta ai tifosi bianconeri: sareste disposti ad accettare tutto questo per la speranza di vincere qualcosa? Barattereste la vostria storia in cambio di un titolo o di qualche qualificazione nelle Coppe europee? A voi la risposta.
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