Poco da dire. Una gara dai contenuti tecnici poverissimi conferma l’asserzione di un noto portiere: ‘meglio due feriti che un morto’.

Alla fine l’Udinese strappa un punto che, a metà della ripresa, sembrava sfuggire: Musso però, eroico, decide che non basta giocare bene per meritarsi le attenzioni, bisogna togliere dalla porta una palla già urlata alla rete da tutto il Bentegodi casalingo. Stepinski non ringrazia.

Il Verona è tutto lì, ed in un diagonale di Verre fuori non di pochissimo. L’Udinese anche meno, sul piano del gioco ma con due macroscopiche occasioni che il capitano Lasagna spreca nel più inopinato dei modi.

Non lascia l’amaro in bocca la gara dimenticabile, due punti che potevano essere conquistati con un po’ di attenzione e concentrazione in più, né dà sollievo sapere che in ogni momento l’omino a difesa della porta, quello vestito diverso, concede a sé stesso ed alla squadra prestazioni notevoli (ci sarà ancora qualcuno che se ne uscirà con un bel ‘sì ma l’errore contro il Parma? Ci fosse stato l’altro portiere…’ eccetera eccetera?)

Lascia perplesso l’atteggiamento, via via più evidente, e la mancanza di un filo conduttore. Dalla prima contro il Milan fino a San Siro tutto okay; le ultime due, però, hanno denotato un passo indietro gigantesco.

E se contro il Brescia quelli bravi hanno proclamato ‘scivolone dell’intera squadra, quindi non preoccupante’, stasera alla confusione tattica si è unito il terrore.

Terrore del Verona? Non solo. Direi più però paura di sé stessi. Di tentare un passaggio, di saltare un avversario, di subìre il contropiede decisivo.

E Tudor? Capisco Okaka per Lasagna (ma perché non una punta pesante dall’inizio?), ma non Walace per Barak. Il baricentro si è abbassato, i bianchineri si sono portati ‘a casa’ (al limite dell’area) gli avversari, concedendosi un quarto d’ora d’assedio.

Poi più nulla: i gialloblu smarriscono la vena, accorciano ‘la gamba’, l’Udinese respira ma non per meriti propri. Non riescono i friulani, in mezzo al campo, nemmeno ad innescare un contropiede come quello che, a inizio ripresa, metteva Lasagna a tu per tu con Silvestri. Esito censurabile, palla nettamente fuori col difensore che ormai guardava disperato.

Più nulla: con Opoku a rinforzare la difesa al posto di uno dei due spenti laterali (Sema peggio che col Brescia, Larsen ugualmente insufficiente) la gara rotola verso il triplice fischio dell’eccellente Chiffi.

Di una gara così ci si può tenere stretti il punticino, che è pochissimo ma almeno si tampona l’emorragia di sconfitte e punti; la rete inviolata, contro un’avversaria apparsa molto meno performante di sabato sera; la speranza che da domenica pomeriggio si riveda una squadra di calcio e non un groppo, non gruppo, di pedatori modestamente impostati.

Ci sono cose che però tollero poco.

Continuare a fornire a chi segue la squadra dappertutto, sacrificando soldi famiglia tempo, anche alle sette del martedì, prestazioni scadenti e per nulla ispirate: e sono cinque. Anni, non partite.

Continuare a temere e subire, seppur per sprazzi di gioco, da formazioni modeste e per nulla superiori; per andare a comandare su certi campi non serve avere Cristiano Ronaldo, basta un pochino di piglio.

Continuare imperterriti ed atarassici a considerare tutto assolutamente normale. Non è normale. Me ne sbatto dell’estensione o meno del bacino d’utenza e del passato remoto. Diamo a questa gente un po’ di calcio.

Dicunt/narrant (presente storico) che dopo una sconfitta (1991, si era in B), l’allora Paròn portò Mattei, Nappi e soci nella sua fabbrica dove, battendo una barra di metallo su un bancone, indicò ai pedatori i suoi operai, esempio di dedizione e capacità.

Ecco: siamo fuori tempo, vent’anni dopo, per una reazione del genere. Verò è comunque, amici miei in bianco e nero, che qualcuno dovrebbe spiegare a tecnico e giocatori che il peso della maglia a strisce biacca e carbone; lungi dall’essere una pressione (ma quale?), dovrebbe invece rappresentare un piacere, uno sprone. E non uso a posta un altro termine abusato da certa politica attuale.

Ecco: siamo fuori tempo forse noi, che ci aspettiamo calcio giocato, se non proprio bailado. Non chiedo Zico, Surjak, Di Natale, Amoroso o Bierhoff: mi basterebbe molto, molto meno. Il gioco del calcio messo in pratica in maniera anche didascalica.

Mi basterebbe un’Udinese che gonfia il petto di fronte alla propria curva.

Non quindici ragazzi terrorizzati, col dovuto rispetto, dall’Hellas Verona neopromosso e dalle proprie ragnatele negli angoli.

E domenica arriva Sinisa: ecco, anche loro sono fuori tempo rispetto a noi. Hanno trasformato una difficoltà in forza, coesione e motivazione di un gruppo già più forte del nostro. Lì il terrore porterebbe un solo risultato.

E non ci voglio nemmeno pensare.

Giocate. Al. Calcio.

Sezione: Editoriale / Data: Mar 24 settembre 2019 alle 21:40
Autore: Franco Canciani
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