E’ di questi giorni un articolo inglese nel quale si predice uno spostamento del core business della famiglia Pozzo a Londra. Ormai da molti anni ci si interroga, ogni estate, sulle relazioni commerciali e tecniche intercorrenti fra le tre società. A cambiare, quest’anno, ci sono i ricavi fissi, quelli che permettono una programmazione vera e propria di una società di calcio. Londra supera Udine per (almeno) 30milioni di euro annui. Sarebbe poi interessante sapere le quotazioni dei giocatori sul mercato inglese rispetto a quello italiano.

I Pozzo sono sempre stati attenti al lato economico. Fa storia una frase attribuita al Paron nella quale privilegiava parlare di affari che di calcio. Questo pragmatismo è stato alla base delle fortune (non poche) dell’Udinese. Non sarebbe quindi una sorpresa lo spostamento della gestione principale da Udine a Londra. Ma senza farsi prendere da facili isterismi. Andiamo brevemente a spiegare il perché:

IL BUSINESS DELLE TV – la business idea dell’Udinese è comprare giocatori, apprezzarli e poi rivenderli. La materia prima costa in termini di contratto e deprezzamento dovuto agli anni che passano. Per poter ammortizzare i costi serve avere dei ricavi certi e duraturi. I diritti TV sono basilari. L’interesse primario dei Pozzo è mantenere tutte e tre le squadre nella massima seria spagnola, italiana e inglese. Perché abbandonare una società? Un'eventuale retrocessione costerebbe molto in termini di gruppo.

STADIO - L’investimento produrrà uscite monetarie fisse e durature per l’Udinese, contro un ritorno non del tutto certo. Gli abbonamenti che si attendono per la prossima annata sono 18.000; diciamo che a 14.000 già si raggiunge un buon risultato. Se le entrate non collimano con le uscite ecco che l’investimento va ammortizzato con il trading giocatori. Inversamente, ecco che un investimento fruttuoso ha bisogno della massima serie per rendere costantemente. Di più, uno stadio può, seppur marginalmente, creare auto-meritocrazia: tolto uno zoccolo duro di abbonati, le altre presenze dipendono dai risultati della squadra. Più in campionato che (ahimè per le ambizioni societarie) nelle altre competizioni (Coppa Italia, Europa League etc etc…). Rimane il fatto che gli incassi da stadio coprono una parte marginale del fatturato; la parte da padrona la fanno sempre i diritti TV.

STILE – Lo stile della famiglia Pozzo è ormai incentrato alla moderazione. Gli allenatori non vengono esonerati (anche se l’allontanamento anticipato di Guidolin è costato non poco), ai giocatori si dà molto tempo per poter dimostrare il valore e i cambiamenti avvengono per gradi. Questa moderazione, contro l’aggressività della gestione iniziale di Pozzo, provoca un ridimensionamento dei risultati, ma altresì determina minori scossoni, pericolosi per un’impresa che si gioca ogni anno il proprio futuro economico e finanziario in dieci mesi.

OPPORTUNITA’- la stagione 2012/13 e la conseguente politica societaria (poche cessioni) ha portato a un deprezzamento l’anno successivo, nonché a un livello motivazionale inferiore. Giocatori che avevano mercato, ma sui quali si era puntato in ottica sportiva, hanno visto il loro valore diminuire (vedi Muriel). Avere una squadra “sopra” l’Udinese, tanto più in un campionato ambito come quello inglese, per benessere di vita e guadagni, diventa un’opportunità da sfruttare. Un passaggio interno permetterà di mantenere il livello motivazionale e non deprezzare il valore dei giocatori. Recitava una pubblicità “Du is megl che one”, perché accontentarsi di un solo mercato quando si può diversificare? Quest’anno difficilmente Allan andrà al Watford, viste le richieste e il potenziale prezzo di realizzo, ma qualora uno fra Widmer ed Edenilson non trovassero uno sbocco proficuo per la società, perché non passarlo al Watford?

Il calcio passato, la cui cognizione rimane ancorata a valori romantici, non è finito. E’ cambiata la consapevolezza di ciò che gira “intorno” (o dentro) alle società. Spostare il core business a Londra non dovrebbe avere particolari ripercussioni sull’Udinese; forse a livello di input, visto che determinati giocatori acquistati per la holding verranno dirottati oltre Manica mentre prima venivano provati in terra friulana.

E’ invece importante che si punti su una bandiera che sa fare anche da parafulmine ai problemi: su Di Natale la società dovrà lavorare per permettere che il secondo anno dell’era Stramaccioni non rischi di peggiorare i problemi incorsi nel primo.

Sezione: Editoriale / Data: Gio 21 maggio 2015 alle 11:00
Autore: Giacomo Treppo
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