Il miglio verde porta da Pradielis allo stadio Friuli. L'ho fatto all'andata e al ritorno. Ho ascoltato Neil Young, ho bevuto birra fuori dallo stadio e acqua dentro, che le corde vocali andavan curate, dopo il primo tempo.

Il miglio verde è il percorso che ti separa dal patibolo, lo ho percorso, mille volte, forse cento, forse centomila. Ad ogni immagine di Totò sul grande schermo, ad ogni gol ripetuto all'infinito di Giovanni Pasquale, a quel brutto video che non rende omaggio al grande Domizzi. Siamo diventati tutti delle fighette da reality? Ma dico io, fate vedere le entrate assassine di un grande difensore. Per tutti facevano vedere i gol, ma non tutti erano attaccanti.

Il miglio verde è lì davanti a me, lastricato di erba e cori della curva, di perfetta sincronia con i distinti. Di Totò che voglio ricordare con la sigaretta, come un cow boy, come un uomo normale che vuole rilassarsi un momento. Non mi interessano i discorsi del Paron ne i cori contro di lui della curva, non mi interessa cosa ha detto Honsell, ne Spalletti e gli altri. Voglio ricordarlo come un povero Cristo, messo in croce da una cattiva gestione, tanti Ponzio Pilato e poche Maria. Voglio ricordare tutti che volevano accenderla quella sigaretta, manco fosse la Canalis, che l'arte di un gol al Catania batte qualsiasi bella donna al mondo.

Il migliore verde mi ha portato alla fine, al pensiero che l'Udinese di una volta è finita. E' finita un'epoca, un'era, un sogno magnifico e non sempre vissuto a pieno. Cosa è Totò, cosa è stato, non lo hanno capito tutti. Non lo capiscono quelli che se ne vanno via prima della fine, non lo capiscono quelli che se ne vanno via dopo il primo giro di campo. Rimaniamo in pochi ma buoni. Quell'Udinese non tornerà perché non capita sempre di prendere Marino, Piazzolla, Larini e nemmeno Guidolin, Spalletti, Marino o Zaccheroni. Ce la vedete l'Udinese affidarsi a un buon allenatore di B e giocatori semi sconosciuti come erano Ametrano, Giannichedda e Bierhoff?

Il mio, personalissimo, miglio verde, è fuori dallo stadio, a parlare con Colantuono, un ragazzo che è salito da Napoli per vedere l'ultima apparizione di Totò, beviamo una birra e facciamo una foto allo stand di un gruppo di tifosi, gentili, che i friulani sanno essere caldi anche senza gridare, amichevoli, aperti. E' nelle chiacchiere con un altro tifoso conosciuto di persona solo nei baracchini fuori dalla curva. Un senso di malinconia mi prendeva, parlavamo della società e delle scelte sbagliate di quest'anno e pensavo che avrei voluto tornare indietro nel tempo e scrivere che Domizzi doveva giocare di più, che Pasquale era mille volte meglio di Armero, che forse i leader di un tempo non avevano più la gamba, ma non è detto che fossero loro a disfare lo spogliatoio. Ora chi rimane? L'Udinese era in campo con quattro italiani, nel secondo tempo. Più uno adottato dal Friuli, anche se brasiliano. E adesso?

Totò se ne è uscito con i figli, il maschietto pareva più triste, la bambina si lascia scivolare le cose addosso. Quante parole gridare da uno speaker, me ne perdoni, che forse va bene a Lignano sulle spiagge, non in uno stadio che ha bisogno di silenzio per salutare un campione, l'ultimo dei Mohicani.

Me ne esco anche io, faccio ancora due chiacchiere con l'amico di sempre, beviamo una birra. Prendo l'auto e torno a casa, faccio quella strada che mi porta in un altro mondo. Anche i boschi dell'Alta Val Torre non saranno più gli stessi, se manca Totò. La nebbia mi porta in un mondo a parte. Scrivo, è l'una e mezza ora. Spengo il computer e me ne vado a letto.

Sezione: Editoriale / Data: Lun 16 maggio 2016 alle 01:40
Autore: Giacomo Treppo
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