Ricordo ancora come fosse oggi, quelle grandi discussioni fra bambini in cui si dibatteva su chi fosse più forte tra Goku e Vegeta, i celebri supereroi della fortunata saga di Dragon Ball Z. Discorsi che duravano ore, analisi stile CSI di ogni puntata, bisticci e contese che alla fine non portavano mai ad un verdetto definitivo. In mezzo alle due fazioni, acerrime nemiche stile MSI e PC degli anni 70, c’era il sottoscritto, che di supereroe ne venerava solo uno, ogni santa domenica. Non usava l’onda energetica e non ha salvato il pianeta terra da improbabili alieni spaziali, ma ha reso la mia infanzia bella da morire. Il mio SuperEroe indossava una casacca bianconera con un “20” stampato sulla schiena, la sua mossa vincente era il colpo di testa in grado di spedire palloni a velocità supersoniche, era un gigante buono che ha fatto tremare centinaia di difese avversarie. Il suo nome era Oliver Bierhoff.
Nasce, cresce, segna! Se è vero che l’annosa rivalità tra Maradona e Pelè non porterà mai ad un vincitore definitivo, indicare Oliver Bierhoff come il più grande colpitore di testa della storia mette tutti o quasi d’accordo. Nato il 1 Maggio 1968 nell’allora Germania Ovest, inizia la sua carriera calcistica nelle giovanili del SW Essen per poi fare il suo esordio in Bundesliga a soli diciotto anni all’Uerdingen, club oggi sprofondato nelle serie minori tedesche, dove nel giro di due stagioni mette assieme trentuno presenze condite da quattro reti. Dopo due anni spesi tra Amburgo e Monchengladbach in cui non riesce ad imporsi come vorrebbe, decide di cambiare aria trovando la sua prima grande stagione da protagonista in Austria al Salisburgo (1990-1991) dove mette a segno la bellezza di 23 reti in 32 presenze. Tanti goal non passano inosservati e ad aggiudicarsi il cartellino del tedesco è l’Inter di Pellegrini. Con i neroazzurri non giocherà mai, andando subito in prestito all’Ascoli dove nel 1991 fa il suo esordio in Serie A. L’inizio è in salita e ricco di difficoltà, complici anche alcuni infortuni che non permettono al tedesco di rendere al 100%. Un campionato tecnico come quello italiano mette alla luce alcuni evidenti limiti tecnici di Bierhoff, che nella prima stagione metterà assieme solo due reti, insufficienti ad evitare la retrocessione dell’Ascoli. La riscossa però è dietro l'angolo, e da li seguiranno tre campionati cadetti tra le fila dei marchigiani con il quale vincerà la classifica marcatori al primo anno (1992/1993 con 20 reti), arrivando secondo l’anno successivo con ben 17 centri senza però centrare la tanto desiderata promozione in Serie A. Nella terza stagione in cadetteria le reti sono solo nove e l’Ascoli retrocede addirittura in Serie C, sancendo di fatto la fine dell’esperienza marchigiana del centravanti tedesco.
A Udine in punta di piedi. Nell’estate del 1995 l’Udinese appena promossa in Serie A e alla ricerca di un bomber di spessore, puntò proprio su Bierhoff, che verrà acquistato per 2,2 miliardi di Lire, sufficienti a superare la concorrenza agguerrita del Vicenza. In Friuli Bierhoff incontra Alberto Zaccheroni, l’allenatore che più di tutti saprà valorizzarlo grazie al suo gioco offensivo perfetto per sfruttare le doti aeree e realizzative del tedesco. Per essere un buon colpitore di testa non basta la statura, occorrono grande elevazione e agilità, ottima capacità nel leggere l’azione, grande senso del goal nonché quell’istinto da killer tipico di ogni bomber che si rispetti. Oliver Bierhoff possedeva tutte queste caratteristiche, maturate nel corso degli anni, che lo rendevano un vero incubo per qualsiasi difesa. Rivedendo alcuni dei suoi goal più celebri si nota come il tedesco applicasse il principio del “terzo tempo” (o tiro in corsa nel mondo del basket) al suo colpo di testa, rendendosi difatto immarcabile ed imprevedibile per la maggior parte dei difensori. La prima stagione a Udine è grandiosa con ben 17 reti messe a segno in campionato che gli valgono la convocazione da parte del Ct tedesco Berti Vogts per il Campionato Europeo 1996. Bierhoff non partirà titolare nella manifestazione ( vengono preferiti i più noti Klinsmann e Kunts) ma il tedesco diverrà comunque l’eroe della manifestazione. In finale contro la Repubblica Ceca (in vantaggio per 1-0) Bierhoff entra al 69esimo proprio al posto di Kunts, trovando il goal del pari dopo appena cinque minuti. A farlo entrare nella leggenda è il golden goal siglato al 95esimo che consegna alla Germania il suo terzo titolo europeo. Ricordo ancora quella notte, quando vidi la partita in un bar dove si trovavano anche svariati turisti tedeschi. Ero un bambino di soli 10 anni che a quel goal esultò come un pazzo sovrastando, è il caso di dirlo, l'esultanza di quei turisti che sbigottiti guardavano quel ragazzino italiano che per una sera divenne tedesco come loro.
La consacrazione italiana. Nonostante la grande notorietà acquisita e le numerose offerte pervenute, l’Udinese riesce a trattenere Bierhoff che alla sua seconda stagione in Friuli, complice un infortunio, totalizza solo 23 presenze mettendo però a segno ben 13 goal che valgono la prima storica qualificazione europea dei bianconeri. La vera consacrazione arriva però nella terza stagione a Udine, dove Bierhoff si laurea capocannoniere del torneo con 27 reti, superando anche il Fenomeno Ronaldo fermo a quota 25. L’Udinese otterrà uno storico terzo posto confermandosi come una delle realtà più belle del campionato italiano, grazie al gioco spregiudicato dell’Allenatore Zaccheroni, ideatore di quel 3-4-3 che fece scuola anche e soprattutto grazie ai suoi interpreti, tra cui è giusto ricordare Poggi Amoroso e naturalmente Bierhoff, bocche da fuoco di uno dei tridenti offensivi più belli e letali della storia. In campionato Bierhoff siglò quell’anno un goal ogni 105 minuti ed in totale con la maglia bianconera 62 reti in 96 presenze che ne fanno il quinto marcatore di sempre nella storia dell’Udinese.
Con Zaccheroni e Helveg in rossonero. Il Milan dopo due stagioni costellate di scarsi risultati, decise di ricostruire la squadra affidandola ad Alberto Zaccheroni, che nell’estate del 1998 lasciò l’Udinese portando con se oltre al terzino Helveg anche Bierhoff, quest’ultimo pagato dal club rossonero ben 20 miliardi di lire, dieci volte più di quanto lo pagò l’Udinese tre anni prima all’Ascoli. Il tedesco con Weah e Leonardo andò a formare un tridente di grande impatto realizzativo che trascinò il Milan ad una grande rimonta sulla Lazio capolista conquistando il 16esimo scudetto della storia del club meneghino. Nel 1999 l’arrivo di Shevchenko in maglia rossonera mal si sposò con le caratteristiche del tedesco che nei due anni successivi siglò 23 reti in 82 presenze, la maggior parte partendo dalla panchina. Nel frattempo l’esonero di Zaccheroni chiuse di fatto le porte di Milanello al tedesco ormai superfluo nel progetto rossonero.
Titoli di coda. L’avventura a Milano si concluse dopo tre stagioni e trentasei reti realizzate. Nel 2001 decide di passare al Monaco in Francia dove sigla sette reti e guadagna la convocazione per i Mondiali Nippo Coreani del 2002, dove la Germania si arrese in finale solo al grande Brasile di Ronaldo. L’ultima stagione da professionista la trascorre al Chievo Verona dove riesce nella memorabile impresa di segnare una tripletta alla Juventus.
Dopo aver largamente dimostrato di saper usare egregiamente la testa in campo, dimostra di saperla usare anche fuori laureandosi in economia e diventando dirigente della Federcalcio tedesca nonché capo delegazione della nazionale teutonica. Non male se si considera che alla professione di calciatore non si è soliti abbinare titoli e lauree. Un altro pregio alla straordinaria figura di Oliver Bierhoff, grandioso in campo e fuori, idolo indiscusso per milioni di appassionati calcistici, eroe nazionale in Germania e inconsapevole supereroe di un bambino nel frattempo diventato adulto che ancora oggi ricorda con un sorriso stampato a trentadue denti quelle meravigliose domeniche pomeriggio in attesa di un goal del suo idolo. Grazie Oliver!
Maurizio Pilloni - TuttoUdinese.it
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