Giorni difficili. Non scrivo da settimane, dalla gara-non-gara contro la Fiorentina che ha chiuso il sipario sul campionato appena prima che i morsi dell’epidemia si facessero troppo stringenti.

Non scrivo perché non ho niente da dire. Lo faccio oggi mentre la mia penna ha seccato ancora un po’ d’inchiostro perdendo un altro Gianni del mio paradiso. Dove già sedeva anche Giuseppino, detto ‘Pepinoœu’.

Giuseppe Viola se ne andò giovanissimo, fottutamente giovane dopo aver terminato il montaggio di una gara del Milan a San Siro. Avevo 13 anni, già mi piaceva scrivere e non capivo, non volevo capire che bisogno avesse il ‘cielo’ di prendersi su un quarantenne. Prima botta al mio essere criticamente agnostico.

Dieci anni più tardi fu la strada ad ingoiarsi la più bella penna che lo sport italiano abbia mai vantato. Gioànn Brera fu Carlo era poco più che settantenne, amava come me il buon vino ed un desco ancora migliore; amava come me trovare appellativi adatti a giocatori a lui grati ma anche meno, lui ci riusciva io meno. Però ‘Anziate’ a dir Colantuono adesso me lo copiano alcuni colleghi ed io ne sono felice.

Fu una botta, la seconda, tremenda; invidiavo (invidio) a Brera la capacità di sintetizzare le cose con precisione, invidi(av)o la lingua usata, secca e forbita ma mai pomposa, condividevo con lui la testardaggine nell’arroccarsi su posizioni personali, difendendole a colpi di stilografica.

Ed oggi scopro che il cuore di Mura Gianni, coevo di mia mamma, meneghino anziché no, ieri sera ha detto ‘finisc’ (cit.). Finito, giù la claire, premuto il tasto ‘zeta’ della sua Olivetti Lettera 22 e cordiali saluti.

Come non bastasse il bollettino di guerra che ogni sera la Protezione Civile e l’I.S.S. sciorinano ogni sera alle diciotto in punto.

Come non bastasse essere piantonato in casa da camionette dell’autorità, cui si deve (giustamente…) giustificare quando andiamo a farci la spesa al supermercato, arbitri loro del contenuto, voluttuario o meno, del bagagliaio.

Mura è stato l’erede, designato per merito, di Brera. Stessa competenza, forse anche migliori capacità descrittive quando dipingeva quadri impressionisti attorno ad una tappa di trasferimento della ‘Grand Boucle’ francese, facendoci appassionare allo scatto (a beneficio di telecamere e dovuto allo sponsor della camicetta) inutile del più modesto dei gregari fiamminghi. Pezzi completi, impossibile credere li avesse scritti dopo la tappa ma era così. Quel che aveva in cuore passava in testa, da lì sulla carta via inchiostro nero. È così.

Ho letto, ho divorato i suoi articoli; ho assaporato ogni pagina di suoi libri come calici di vino rosso, il suo preferito. Il primo, bel giorno di primavera la sua vita ha visto passare quella ‘flammerouge’ tanto spesso descritta dalla penna di Gianni.

Un mio professore di filosofia, parafrasando chissà chi, mi disse ‘si ricordi che la sua parabola sarà inevitabilmente discendente quando parteciperà a più funerali che matrimoni’. Ero un ormonatissimo adolescente, inquieto di dubbi ed incertezze, lasciata troppo presto la mia innocenza a termine e disincantato dalla vita e dalla noja procuratami dalle persone. Pagherò il mio carattere in età più matura, ché quando si è giovanetti tutto pare lecito. Pazienza.

La scomparsa di uno dei capisaldi di questa passionaccia chiamata giornalismo mi ha fatto sorgere un desiderio, insaziabile, di silenzio.

Silenzio dell’uomo della strada, che annoiato dalla cattività e forse dalla presenza di esseri di cui ignorava financo l’esistenza o quasi (la famiglia) sente il dovere di darci la sua, inutile, opinione di cosa sia questo virus, da dove venga, come si propaghi e degli errori commessi dal Cetto Laqualunque di turno.

Silenzio dello sportivo, parlo di basket perché questa è un’altra mia passione, un po’ fuori dai giochi che disserta su cosa si debba o non si debba fare in termini di gestione dei campionati. Inutili guru, pensionati o pensionabili, che si getterebbero a pesce sul prossimo possibile contratto. Facendo a pezzi, se il caso, un altro essere umano (a caso suo collega). Uno di quelli che oggi, a parole, difende.

Silenzio di addetti del settore, che per ragioni umanitarie, sportive, etiche, sociologiche o sternocleidomastoidee invocano la neutralizzazione dei campionati. Casualmente appartenenti a società le cui casse piangevano ben prima dell’avvento del virus. Sono d’accordo con loro, ma a patto che il nuovo campionato, cui aspirano, sia organizzato con stringentissimi paletti di solidità economica e sportiva. Insomma una cosa per pochi. Se veramente tengono così tanto ai principii etici, sportivi eccetera non peserà loro iscriversi ad un torneo amatoriale. Basta giocare. 

Silenzio di esperti d’altro settore che si scoprono virologi, ed anche di virologi che si credono un po’ più virologi degli altri. 

Silenzio su dati relativi a sportivi positivi. Non me ne frega nulla, questa ondata deve passare: per tutti, anche per loro. Quarantena per quarantena, rimangano tutti in casa propria facendosi curare se il caso, e lasciando i tamponi ed ogni altro presidio a chi ne ha veramente bisogno. Lewis Hamilton, per una volta, mi è parso veramente il più grande.

Gli unici che dovrebbero parlare non lo fanno: perché sono troppo impegnati a salvare delle vite. Medici, infermieri, ausiliari e assistenti negli ospedali rischiano ogni giorno la loro, di vita, quasi si lanciassero da un bungee jumping senza prima assicurarsi che la corda sia legata al parapetto. Li abbraccerei uno per uno, e mi fa piacere essere da sempre stato uno degli illusi viadelcampiniche separavano sistema sanitario da quelli che, realmente, operano. I quali, in Italia, sono spesso il top al mondo.

Finiamola, infine, di invocare la ‘mancanza di libertà’ ché non possiamo andare a correre all’aperto. Chissà perché, prima di questa serrata, avevo avuto più occasioni di vedere vostre foto davanti a pantagruelici piatti, dal quoziente calorico fuori scala, piuttosto che in tenuta da runner quale oggi vi definite. L’unica corsa che molti hanno fatto era quella al frigo a prendersi una birra durante un ‘superspot’ nella gara di Champions. Siamo seri, rimaniamo in casa. Scelta giusta, quella del Governo? Non lo so. Ma sono italiano e rispetto le regole.

Silenzio. 

Gianni Mura non potrà più parlare, imitatelo. 

Sezione: Primo Piano / Data: Dom 22 marzo 2020 alle 09:31
Autore: Franco Canciani
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