Cleveland, Ohio: giornate piene, ma condensandole (e con un po’ di fortuna ed un wifi complice in un caffé della nota catena americana) alle 14:45, sei ore indietro, siamo qui.
Ed ammiriamo.
L’Udinese è finalmente una squadra. Calcio a sprazzi sempre più consistenti. Palermo squadra men che mediocre, sì, ma non così peggio delle mille con cui i bianchineri hanno goduto di poca pugna, nelle stagioni scorse. Quando si perse contro Parma fallito, Carpi, Frosinone e quante altre me ne scordo.
Ed oggi i pròdromi c’erano tutti: campo pesantissimo, pioggia e vento, e dopo qualche giro di lancetta l’amico Angella che decide di regalare un golfistico handicap ai padroni di casa, di fatto lanciando Nestorovski per la rete del vantaggio rosanero.
Eppure da subito, no: non ho avuto la stessa sensazione, che so, di Sassuolo, quando era praticamente certa (a meno di un episodio) che la si sarebbe persa senza reagire.
La banda del Gigi domina la scena, crea, gira la palla da un lato all’altro senza concedere punti di riferimento all’avversario, che si affaccia verso Orest con un paio di contropiedi d’alleggerimento e nulla più. Il giovane portiere croato di casa si supera, ma capitola quando Silvano trova l’ex bevitore di assenzio francese che stoppa da par suo e la livella.
La ripresa mostra i giocatori di Zamparini senza gamba, idee né gioco, ma ci vuole una doppietta del polipo di Parigi per portarla a casa. Théréau fallisce la doppietta personale colpendo un palo interno con un colpo a giro, ma sarebbe stata punizione troppo severa per i poveri siciliani, già decimati da un rosso sventolato dal permaloso e pessimo (al solito) Orsato all’indirizzo del ragazzino ungaro Sellai, che un giorno diventerà anche un campione ma oggi ancora da serie A mica pare.
Note dolenti l’inizio di Angella, che poteva diventare esiziale ma non lo è stato; un Kums in cerca di sé stesso (e la squadra che gira ancor meglio quando esce); una difesa non ancora sufficientemente ermetica.
Per il resto Cyril ha manifestato perché il cambio in panca sia stato forse tardivo, ma opportuno (e Gioacchino continua a parlare, a parlare, ripetendo i tre concetti che spiattellava in sala stampa: lavoro, tempo, infortuni. E il pezzo che scrissi a inizio stagione, “i pugni in tasca”, mi ritorna alla mente); e questo concetto lo evidenzia soprattutto Seko Momo Fofana, dimenticato in panchina per secoli e ora indiscussa mezzala di riferimento dei bianchineri. Zapàta se non altro fa spesso reparto da solo, il re Leone Emil mena fendenti a centrocampo; insomma, non si vincerà lo scudetto ma il solco scavato con le retrocedende pare già significativo.
Tre punti, sei in due gare. Tre reti, sei in due gare. Da quando non si assisteva ad una cosa del genere? E cosa c’è voluto, di magico, per riportare la formazione friulana sulla retta via, smarrita da almeno tre stagioni?
Cerco di non diventare corifeo degli elogi, anche se sotto sotto un delneriano come me (ammetterete che ho fatto coming-out sin da subito) gode come un riccio; cercherò anche di non abusare dello “sgarfare” del Gigi (epico il siparietto con il giornalista della televisione della società, che glielo menzionava: “sgarfà è un concetto della nostra lingua, fra friulani ci capiamo”). Quindi? Che c’è voluto?
C’è voluto che la società capisse che i giocatori, bravi o meno che siano, non hanno bisogno di un fratellone comunicatore e profeticamente romano; tantomeno di un sergente Anziate, con poche e confuse idee sotto la calotta cranica. C’erano quasi arrivati con De Canio, che ha trovato solo ad intermittenza la comunicazione col gruppo. Sforzo sprecato chiamando a Udine l’inadeguato Gioacchino, che sarà bravissimo ma i nostri cànoni epici, etici, estetici, di pàthos sono altri.
C’è voluto, insomma, che dopo tanti soldi spesi inutilmente (perché i contratti vanno onorati) si decidessero a sotterrare eventuali antipatie ed affidarsi ad un allenatore. Anzi, un Allenatore. Quindi chi oggi (giustamente) solleva agli allori la “proprietà”, protagonista per aver trovato un nuovo, grande ventenne scovandolo al Lorient (ma ce lo ricordiamo, l’anno passato, fare a pezzi i colantuonici in maglia Bastia e sotto il diluvio di Lignano), si ricordi che il tempo, le stagioni sprecate a inseguire invano un filo logico non sono imputabili a me, ai tifosi o alle cavallette; piuttosto ad un amor proprio che fa a pugni con l’imprenditorialità. Piccolo inciso: leggo con dispiacere la nota ufficiale pubblicata dalla consorte del proprietario udinese, inerente presunte notizie diffamatorie apparse sul più letto quotidiano locale, che termineranno forse in sede legale. Non conosco la materia, non ho letto l’articolo incriminato né conosco le reciproche motivazioni, quindi me ne sto zitto (per ora). Sarà compito dei due uffici legali ed eventualmente delle autorità dirimere la questione. Ma se quest’esercizio lo compio io, che così facendo tàcito rapporti personali e una certa quale “difesa corporativistica”, lo dovrebbero vieppiù fare tanti opinionisti da rete sociale che tagliano recisi giudizi contro una delle due parti in causa. Rabbrividisco, perché a nessuno pare sorgere la domanda “what if”, “e se...”. Ma forse Voi sapete cose che io non conosco. Peccato. Pazienza, parliamo di calcio.
Gigi Delneri era arrivato a Udine seguito da tanti dubbi dei suoi molti detrattori: è vecchio; ha fatto male a Roma e Torino-sponda Juventus; ha un solo modulo e se non ci sono i giocatori giusti si rischia grosso. Palle: Delneri ha trovato il punto Gi(Gi) di questa formazione; in campo ruota giocatori e moduli come fosse una squadra di basket; ha attorno a sé un gruppo di giocatori che, per la prima volta da quattro anni a questa parte, sembra dare il sangue per la maglia, per i tifosi e per il proprio mister; ha messo d’accordo tutti, soprattutto ha ricacciato in gola quanto alcuni colleghi avevano scritto prima del Pescara: “scontro diretto”. Sì, ed è proprio questo il merito che maggiormente riconosco all’Aquileiense: l’Udinese può aver rischiato di retrocedere l’anno passato, meno quello precedente, ma non appartiene alle paludi della bassa classifica. C’è semplicemente capitata, come succede talvolta.
Lunedì sì che sarà scontro diretto, contro quel Torino (tecnicamente forse più forte) che Mihajlovic ha plasmato a propria immagine e somiglianza ma che, proprio per questo, è battibile sul piano dell’atteggiamento e della concentrazione. Vedremo, per ora godiamoci questa vittoria, meritata e non “sgarfata”; da domani si penserà ad affrontare il gallo Belotti (lo avrei voluto a Udine in uscita da Palermo, lo scrissi ed è una delle poche cose di cui meno vanto) e compagnia. Lieto che la bella Udinese abbia finalmente mostrato di avere un punto Gi(Gi)...
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