Alberto Zaccheroni è tornato in Friuli, ospite di una serata organizzata dal Comune di Manzano e dalla Manzanese Calcio. L'ex tecnico, che haguidato l'Udinese dal 1995 al 1998 ha raccontato quello che è stato il suo calcio.
Ha iniziato regredendo a quella che è stata la sua infanzia, dove è nata la passione che l'ha portato poi ad allenare: “Sono felice di essere qui questa sera. La mia storia di calcio è anomala, completamente diversa dagli altri allenatori. Ho iniziato ad allenare a 9 anni con le figurine. Mio padre non voleva che giocassi a calcio. A casa prendevo quattro libri, creavo due porte e disegnavo un campo di calcio, sul quale disponevo le figurine. Mi veniva sempre di cambiare ruolo ai giocatori. Mi facevo i miei viaggi, sempre di nascosto perché mio padre non voleva che giocassi a calcio".
E la carriera da calciatore, in effetti, non è mai decollata a grandi livelli. Anche quella da allenatore è iniziata senza grosse aspettative:"Al massimo da calciatore ho fatto la quarta serie. Ho iniziato ad allenare quasi per caso partendo da una società di terza categoria, dai pulcini. Lì ho preso la passione per allenare. Più che al risultato ho sempre guardato alla qualità. Il direttore sportivo del Cesenatico, che faceva la C2, mi volle ad allenare gli allievi. Lì mi sono innamorato di questo mestiere".
"Il mio calcio è quello dei miei giocatori. Io non ho mai avuto un calcio mio, il mio compito è quello di nascondere i difetti dei giocatori e mettere in evidenza i pregi, che non sono solo basati sulla qualità. Nelle giovanili cambiavo sempre i giocatori, non facevo sempre giocare gli stessi. Sono andato avanti così" ha aggiunto poi, parlando di quello che è stato definito come il suo calcio.
Ritorna poi alla memorabile vittoria contro la Juventus, arrivata il 13 aprile 1997 e con i friulani che si sono imposti per 3 a 0 sulla Vecchia Signora nonostante l'inferiorità numerica:"Nulla avviene per caso nel calcio. La squadra non voleva giocare con la difesa a tre. Se invece della Juventus ci fosse stato il Perugia la partita non sarebbe finita così. A partita iniziata eravamo già in dieci. Ho pensato che quella fosse l’occasione per metterli alla prova. In dieci, a Torino contro la Juventus di Moggi avevo paura di prenderne un treno. Ho deciso di puntare sull’orgoglio. Le esercitiazioni in allenamento le facevamo, in sette contro dieci quelli in superiorità non facevano gol. Quella era l’occasione giusta. Nel calcio bisogna alzare l’asticella. Noi non abbiamo fatto i risultati perché giocavamo a tre, ma perché avevamo tanta qualità e quantità. In molti pensano che il merito fosse del sistema, ma il merito era della qualità degli interpreti. La partita non la vince l’allenatore ma i giocatori. Io devo metterli nelle condizioni di poter fare il loro meglio. Io le partite non le ho mai vinte, beneficiavo di una squadra di qualità. Tutti sono andati a giocare in grandi squadre".
Tra i suoi giocatori ricorda Gargo, che a suo dire non è mai riuscito a proporsi bene in campo e questa cosa è una ferita che Zaccheroni continua a portarsi dentro: "Lui aveva un fisico straordinario e una grande forza. Era esplosivo ed aveva tiro, ma in campo non riusciva a proporsi bene. In campo è stato impalpabile, ha dato troppo poco eppure si vedeva che aveva tante qualità. Un giorno lo provai difensore centrale, cosa che avevo già fatto ma solo in allenamento. In quel ruolo risultò straordinario, poteva fare il centrale come il terzino: era veloce, aveva qualità nel gioco aereo. Capello si innamorò di Gargo e lo volle al Milan, ma nel contendere una palla a Mancini contro la Sampdoria si ruppe il crociato. Li finì la sua carriera".
E infine una parentesi su Appiah: "La società organizzo un’amichevole contro una squadra straniera nel periodo di Pasqua. Non avevamo giocatori sufficienti per disputare la gara ed eravamo in difficoltà. Mi disserò che c’era un ragazzino ghanese che era stato provato con le giovanili ma che sarebbe stato mandato a casa. L’unica soluzione era tenerlo ancora un giorno per averlo a disposizione come cambio. Chiesi a Gargo informazioni su questo ragazzino. Me lo sono messo alla mia destra in panchina e lo feci entrare a mezz’ora dalla fine perchè non avevo altri cambi. Entrò e fece tre giocate da fenomeno. Mi alzai e dissi: “Chiudete i cancelli che questo rimane qua”. E’ un ragazzo che ha fatto molto meno di quello che poteva fare, ha avuto una serie di infortuni che lo hanno condizionato".
"Io ho sempre vissuto per i miei giocatori, non andavo tanto in giro. Ho avuto quasi sempre la fortuna di avere bei gruppi. Nella gestione della squadra è fondamentale il rispetto dei ruoli. Io non ho mai detto a quelli del mio staff cosa fare. In uno staff non può decidere tutto l’allenatore, che è già tanto se riesce a concentrarsi bene sugli aspetti che riguardano gruppo, tattica e tecnica. Un allenatore deve avere uno staff all’altezza. La squadra era matura, pronta e consapevole, potevamo lottare per vincere il campionato senza aspettare ancora un anno. Ho sempre considerato la mia Udinese una squadra perfetta" ha poi concluso.
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