Probabilmente non si smette mai di essere portieri. Luigi Turci è lucido ed attento ai dettagli anche quando racconta la sua avventura all’Udinese. Non trascura nulla, con una cura maniacale tipica di un estremo difensore. È un modo di fare che, sotto l’aspetto professionale, ha dato grandi risultati tra il 1996 ed il 2002, anni in cui ha fatto la guardia alla porta della squadra friulana. Inevitabilmente, ha le idee molto chiare su cosa abbia significato per lui aver fatto parte di una società importante come quella bianconera:
“E’ stato un periodo particolare della mia vita, perché ho vissuto dai 26 ai 32 anni in Friuli. Perciò, in quel momento, sono maturato dal punto di vista professionale ed umano. Le due cose sono molto legate. In un certo senso, sono cresciuto insieme all’Udinese. Non tanto dal punto di vista fisico, quanto dal punto di vista della maturazione. E poi ho avuto la fortuna di far parte di un gruppo, che ha fatto la storia della società stessa. Quel gruppo ha cambiato la storia ultracentenaria del club, perché, secondo me, c’è un prima ed un dopo, c’è una sorta di spartiacque. Prima di quel gruppo, di quello staff tecnico, di quell’allenatore, c’era una società con una determinata dimensione. Poi, l’Udinese ha acquistato una dimensione diversa, ovviamente migliore, con un livello più elevato e risultati eccezionali per il contesto. Perciò io ho avuto la fortuna di far parte di quel gruppo”.
In bianconero, 169 presenze, molte delle quali impreziosite da grandi interventi. Ci sono anche alcune gare, che per un portiere sono speciali ed indimenticabili. Agli occhi di Turci, c’è un match in particolare impossibile da dimenticare, non solo per il proprio rendimento, ma anche per il significato assunto nel tempo:
“Mi riallaccio a quello che ho detto prima. Scelgo l’incontro Juventus-Udinese, finito 0-3, del 1996/97. Dopo 3 minuti venne espulso Geneaux, ma noi riuscimmo ad imporci sul campo della prima in classifica e poi vincitrice dello scudetto. Quella gara è il vero spartiacque della storia dell’Udinese. Quella partita ha proiettato il club in una dimensione diversa, migliore, di alta classifica. La società ha cominciato a ragionare e progettare in maniera differente”.
Dunque un cambio di mentalità piuttosto accentuato:
“Sì perché ci si è posti degli obiettivi fino a quel momento impensabili”.
Eppure, a distanza di tempo, resta la sensazione che quella squadra potesse realmente puntare più in alto, magari sognando di sgambettare una volta di più le favoritissime per la vittoria finale. E non solo in uno scontro diretto, come accadde in più di un’occasione. L’ex numero 1 bianconero si ferma, prende tempo. Poi si lascia andare ad una confessione inedita:
“Guarda, tiro fuori un aneddoto, che non ho mai raccontato pubblicamente. Nell’anno in cui siamo arrivati terzi con Zaccheroni in panchina ed i vari Bierhoff, Poggi, Amoroso, Calori, Bertotto in campo, giochiamo una partita ad Empoli. Purtroppo perdiamo 1-0 contro la squadra allenata da Spalletti, con un rigore di Esposito. E’ una partita che non meritiamo di perdere, perché creiamo le occasioni per il pareggio o addirittura per la vittoria. Comunque l’Empoli non ruba niente, fa la sua gara da squadra che deve salvarsi e con le unghie e con i denti porta a casa un risultato importante per loro. Nella settimana successiva, affrontiamo la Juventus in casa. Loro sono primi in classifica e poi vinceranno lo scudetto. Zaccheroni entra nello spogliatoio, dopo il match contro l’Empoli. Ci guarda in faccia, ci fa sedere e dice: “Non abbiamo capito nulla: se noi avessimo vinto questa partita, ci saremmo giocati lo scudetto domenica prossima in casa contro la Juventus”. Credimi, metà squadra è svenuta dentro lo spogliatoio, perché era stata pronunciata una parola che nel 90% dei casi era sconosciuta, non era mai stata presa in considerazione. La conferma è arrivata nella domenica successiva con la Juventus: stavamo vincendo 1-0, con un tiro-cross di Bachini toccato da Bierhoff, ma loro hanno pareggiato nel finale con Del Piero. Ho visto per la prima volta esultare in maniera plateale Lippi, che, invece, era noto per il suo aplomb, per il suo distacco di fronte alle emozioni della partita. Questo significava solo una cosa: ci reputava la vera antagonista alla Juventus per lo scudetto. Purtroppo ciò capitò in un momento in cui la maggior parte di noi non era ancora pronta per un’idea del genere. Però, a dire il vero, con il senno di poi, ci siamo accorti che in quell’occasione ci saremmo potuti giocare un obiettivo quasi paradossale ed assurdo. Siamo convinti che, se fosse stata confermata tutta la squadra, con gli stessi giocatori e con lo stesso allenatore, fatti i dovuti innesti strategici, ci saremmo potuti giocare lo scudetto”.
E allora non deve stupire se Zaccheroni e Bierhoff vinsero il titolo nella stagione successiva al Milan:
“Non è un caso se vinsero lo scudetto. Nell’anno precedente la loro crescita a livello di mentalità era avvenuta con l’Udinese. È questo il nostro rammarico: nel 1997/98 arrivammo terzi dietro a Juventus ed Inter, in un campionato storico, ma nella stagione successiva non ci ripetemmo. Arrivammo sesti, ad un passo dalla Champions League”.
Ma al di là dei grandi risultati ottenuti con la squadra, Turci resta uno dei migliori portieri della storia del club. Determinanti in più di una circostanza i suoi interventi, forse non spettacolari, ma estremamente efficaci. Probabilmente è stato anche uno degli estremi difensori più sottovalutati nel nostro campionato. Tra le tante parate fatte, è difficile sceglierne una più significativa a suo modo di vedere:
“Beh ce ne sono state molte. Nella stessa partita che ricordavo, Juventus-Udinese 0-3, quella che per me è la partita spartiacque, ho parato un rigore a Zidane. È una cosa di cui mi vanterò con i nipoti. Però, oltre a questa, ci sono state tante altre gare, come il match contro l’Ajax all’Amsterdam Arena. Per contesto e qualità di prestazione, è stata la miglior partita della mia vita. Ne cito solo due, ma ce ne sono molte altre. Ricordo anche Udinese-Fiorentina, finita 1-0, con Trapattoni sulla panchina viola. Segnò Sosa. Loro erano primi in classifica. Anche lì ci furono tre interventi, uno più bello dell’altro. I primi due incontri citati restano comunque quelli più eclatanti”.
Cremonese di nascita, friulano d’adozione. Raccontando la sua Udinese, l’ex portiere classe 1970 non può non parlare del suo amore per questa terra. Un rapporto speciale:
“Sono stati sei anni che sono coincisi con la mia crescita professionale ed umana. In quel periodo si è formata e si è allargata la mia famiglia, sono nati i miei primi due figli. Tutt’ora vivo in Friuli. Abbiamo deciso di trasferirci in una zona dell’Italia che ci ha rapito per certi versi. Dal punto di vista umano, mi rimangono tantissime relazioni che ho coltivato in tutti questi anni. Ho ancora molti amici che ho continuato a frequentare, anche dopo i miei trasferimenti a Genova ed a Cesena”.
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