Doveva vincere in Ciociaria, l’Udinese: lo ha fatto patendo poco nel primo tempo (3-0), giochicchiando sotto il diluvio nel secondo, attendendo notizie che in un campionato come quello italiano è utopico financo pensare. Lo dico con la morte nel cuore.
E affatto interessato, dato che da sempre sostengo come l’Udinese si salverà; che lo avrebbe fatto senza l’aiuto di altri risultati; che avrebbe ottenuta un’altra stagione di serie A semplicemente perché la rosa non è peggiore di quella delle concorrenti.
E sono ancora convinto sia così.
L’Empoli ci crede: ha ragione. Anche perché ormai il loro obiettivo dista un punto e non è l’Udinese. Fossi in Prandelli mi guarderei dentro, cercando nelle mie convinzioni i mezzi per salvare una squadra che dopo la vittoria contro i pluriscudettati savojardi non ne ha beccata mezza. Ad un amico ho confessato la mia vecchiezza: ero alla radio quando, nel 1978, Roberto Pruzzo sbagliava contro l’Inter e a tempo scaduto il rigore della salvezza, gettando la sua squadra nel baratro della cadetteria (lui no, aveva già in mano il contratto in giallorosso). 41 anni dopo Sanabria fa lo stesso. Per i vichiani che credono ai corsi e ricorsi storici il delitto è servito.
Ma ci sono altre squadre che stanno tremando: la Fiorentina dello psicodramma continuo, che parte dalle lettere aperte della proprietà, passa per un cambio (infruttuosissimo) di panchina per arrivare ad una rosa forse migliore delle avversarie, ma scopertasi fragile e sterile non appena i dirigenti hanno giubilato colui il quale essi stessi ritenevano colpevole unico ed ultimo.
Il Parma, che dopo aver goduto di lodi ed elogi sperticati di chi intuiva in D’Aversa un novello Guardiola (dimentichi che l’unico schema recitava ‘palla a Gervinho e speriamo’) è entrata, rilassata e tranquilla, in una spirale che assomiglia tanto a quella che noi conosciamo bene, annata 2018 targata Oddo.
Perfino il Cagliari, che secondo me si salverà e se lo merita tutto, ma appena allentatosi il fattore-Sardinia Arena si è fatto risucchiare in basso.
Alla fine se la giocheranno Genoa ed Empoli; l’Udinese deve sfruttare la gara contro i ferraresi, sabato prossimo, per cavarsi dagli impicci e viaggiare in Sardegna a cuor leggero. Il Bologna stasera si è affrancato, probabilmente, in maniera definitiva; il Parma, come detto, deve frenare la caduta libera; altro non c’è.
Manca la contemporaneità che sarebbe d’uopo in questi casi: pazienza. Sabato il Genoa ha il Cagliari in casa, per chiudere a Firenze; domenica l’Empoli ospita il lanciatissimo Torino di Belotti e non avrà vita facile, mentre alla 38esima visita l’Inter (molti vaticinano un omaggio spallettiano, ma Luciano è troppo impegnato da fantasmi di Robert Redford, corsa Champions e orgoglio da difendere).
Parma e Fiorentina si disputa sempre alle 15: in fondo i viola hanno il Genoa in casa, i parmigiani volano all’Olimpico contro una Roma in lotta per il quarto posto. Il Bologna, infine, visiterà la Lazio e ospiterà il Napoli: gare difficili, ma un punto potrebbe bastare (forse anche zero).
Un ginepraio: una situazione creata dalla rottura prolungata di alcune formazioni che a febbraio hanno smesso di giocare in concomitanza con quello che forse ritengono il proprio apice (Genoa), da altre che patiscono infortuni a carico dell’unica arma tattica valida (Parma con Inglese e Gervinho); da squadre in assoluta e generale confusione (i viola di Montella).
Un ginepraio, quando solo un mese fa si pensava che, volato via il Bologna, la lotta fosse limitata ad Udinese e gli azzurri del presidente Corsi.
Invece Igor Tudor, ancora oggi criticato da qualche saccente per un presunto non gioco, tifosi dalla memoria cortissima e fatta di comodi pregiudizi, per la seconda stagione di fila arriva in punta di piedi, prende a muso duro la squadra, la mette in campo con giudizio e salva la ghirba ad una società che, sembra, continuerà a non dargli fiducia.
I numeri, invocavano le vedovelle del lusernese: oggi l’Udinese porta sistematicamente quattro, cinque uomini dalla parte opposta del campo quando con la gestione precedente tirava 1,5 volta a partita verso la porta avversaria; ha messo ‘in dima’ Stefano Okaka, attaccante di lusso per squadre della ‘side-B’ nella classifica, ieri autore di una prima rete da Bud Spencer in ‘lo chiamavano Bulldozer’ (ma che bello il tiro a baciare l’angolo lungo!). ha ottenuto il massimo da pretoriani come capitan Lasagna, Larsen, Zeegelaar, Mandragora e De Maio.
Ci sono altri aspetti che fanno aumentare il mio rispetto per il pragmatico dalmata.
Rodrigo De Paul è ritornato ai livelli visti con Velàzquez: dopo la triste parentesi centrale, si sente finalmente parte di un sistema che funziona meglio (anche se in maniera ancora intermittente); ieri quattro palle filtranti, una delle quali convertita nella terza realizzazione, ed un assist (finalmente!) su calcio di punizione trasformato da Samir, nemesi storica di tanti fra noi.
La difesa concede molte meno occasioni che nel recente passato: sarà, forse, perché tiene la linea di centrocampo qualche decina di metri più alta, consentendo ai centrali difensivi di respirare meglio.
Anche ieri, quando nel primo tempo il Frosinone ci prova con coraggio, la squadra (che non ha eseguito nel dettaglio i dettami di Tudor) non si è disunita, deconcentrandosi solo nel finale quando Dionisi e la pioggia battono Musso per la rete dell’onore frusinate.
A proposito: penso ormai sia inutile spendere altre parole per l’arquero argentino. Siamo di fronte ad uno dei migliori portieri della propria generazione, senza alcun dubbio e nemmeno rammarico da parte di Simone, spedito per l’ennesima volta in una squadra-colabrodo (questa sì, colpa vera della dirigenza). Il ragazzo sannicolino ma di scuola Racing si è preso in silenzio la leadership della porta friulana, che non mollerà se non quando (succederà) arriverà la solita, irrinunciabile offerta. Complimenti, stavolta, a chi lo ha scoperto e ci ha scommesso.
Battere la S.P.A.L. e chiudere i conti: questo deve fare l’Udinese. Ci piacerebbe che sabato pomeriggio un terzino spallino si inciampasse e concedesse campo libero a D’Alessandro e Lasagna; che il centrale biancoblu afferrasse una gamba a Mandragora concedendo rigore; che i tifosi estensi esultassero alle reti friulane. Non succederà, perché i ragazzi di Semplici e lo stesso allenatore fiorentino giocheranno come dovessero salvarsi (a proposito: Semplici meriterebbe un’occasione di mettersi alla prova, molto prima di certi profeti foresti che se ne vengono ad insegnare calcio in Italia dal basso della propria supponenza) e a noi piace così.
A cosa mi riferisco? Nulla. Ad una gara da videogioco messa in scena ieri pomeriggio sul mio computer. Credo.
Chiacchiere da bar? Basta con questa definizione idiota: nei bar gira più passione che su mille account Instagram di quattro pedatori che col calcio sembrano centrare pochino. Sarete più belli dei miei idoli della giovanezza, ma a codesti non potreste allacciare le scarpe. Cosa che penso non siate in grado di fare, peraltro, data la fornitura coatta di scarpini tecnici avvolgenti.
Chiacchiere da bar? Se questo coincide col pensare che vestire una squadra ultracentenaria con una casacca da sbandieratore di Roccacannuccia sia troppo allora sì, fiero di essere un chiacchierone da osteria. Uno di quelli che pensa ancora la passione sia cosa sana (se non subentrano gli insulti) e vada rispettata. Anche da stilisti déditi, evidentemente, all’abuso di sostanze altamente psicòtrope.
Parole. Sabato conteranno solo i fatti. E le reti.
Udinese: padrona del proprio destino.
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