Udinese - Roma 1-0 del 6 novembre 1983 è passata alla storia per il gran gol di Zico a quattro minuti dalla fine, quando il brasiliano raccolse un lancio da 40 metri del Barone Causio e, bruciando sullo scatto il compianto capitano giallorosso Di Bartolomei, fulminò Tancredi con un potente destro in corsa a mezz'altezza sul primo palo. Forse il momento "più alto" della permanenza in bianconero di Re Zico, che guidò al successo e rilanciò le ambizioni dell'Udinese, fermando una Roma che arrivava al "Friuli" fresca di scudetto e capolista nell'ottava giornata di andata, davanti a 46.947 spettatori tra paganti e abbonati e quindi probabilmente 50.000 inserendo anche i "portoghesi". Un boato simile ad un'esplosione dinamitarda accolse quella marcatura, che sigillò in assoluto uno delle più belle mezz'ore di gioco che l'Udinese seppe mai esprimere sotto l'arco dello stadio dei Rizzi. Dal primo al 30' minuto della ripresa i friulani misero letteralmente alle corde i giallorossi giunti a Udine in testa e già con tre punti di vantaggio sulla Juventus. Pressing continuo già a partire dalla tre quarti giallorossa, manovre avvolgenti, palloni che spiovevano frequentemente in area per la testa del neo-entrato Virdis, con il Galinho sempre in agguato e guardato a vista da almeno due avversari e capitan Causio imprendibile sulla fascia destra, capace di creare incessantemente superiorità numerica. Molto meno ricordata e assai poco celebrata è invece una prodezza tecnica altrettanto importante e decisiva rispetto al gol vittoria di Zico e determinante per il verificarsi poi di quest'ultimo. Con questo scritto voglio fare uscire quel gesto dall'oblio e rendere al suo protagonista il merito e l'onore che gli spetta per una prodezza compiuta meno di un minuto prima del destro al fulmicotone di Re Arturo, nel momento in cui la formidabile spinta bianconera di quella memorabile mezz'ora si era esaurita e la Roma, prima timidamente e poi con convinzione, aveva preso in mano le redini del match. Si sa, è dura la vita dei portieri e, a questo proposito apro una parentesi. Si dice che nel calcio il ruolo del portiere sia fatto per i matti oppure per i più scarsi, quelli che proprio non possono essere utilizzati in altri ruoli. Difficile poter smentire questo adagio. Chi, sano di mente, potrebbe scegliere coscientemente di fare il portiere? Al minimo errore che commetti nel 90% dei casi la tua squadra prende un gol, magari perde la partita e finisci alla gogna, mentre ogni parata che esegui, magari anche la più difficile, altro non fai che fare il tuo dovere. A parità di talento, il tuo ingaggio sarà sempre inferiore a quello di una punta che, magari sbaglia tutto per 90 minuti, ma poi nel recupero, segna il gol della vittoria e diventa un eroe. Pari un rigore? É chi ha tirato che ha sbagliato. Un tiro entra nel sette? Forse se ti posizionavi meglio e partivi in anticipo la potevi prendere. Sei la riserva del titolare? Probabile che tu non veda il campo per tutto il campionato e se finisci in panchina, magari solo perché fuori forma per un periodo, è altrettanto probabile che il campo tu non lo veda più e a fine stagione ti conviene cambiare aria. Se trovi chi ti prende, però. Pensiamo poi alle partite nei campetti di periferia, quelli cantati da Francesco De Gregori ne "La leva calcistica della classe '68" per intenderci. I più forti facevano le squadre e non erano mai portieri. Anzi, non c'è mai nessuno che voglia andarci in porta tra i ragazzini: ci finiscono solo quelli più scarsi o quelli per i quali accettare quel ruolo rappresenta l'unico modo per poter partecipare alla vita del gruppo. Eppure senza portiere, non c'è gioco, non c'è partita. No Goalkeeper, no party. Credo che nessun ruolo al mondo sia così difficile, indispensabile e così mal ricompensato, se non quello del portiere. Non fare mai il portiere, se non sopporti l'ingratitudine. E la solitudine.
Chiusa la parentesi, torniamo all'85' di quell'Udinese Roma. Il Divino Falcao come suo costume avanza centralmente sulla tre quarti bianconera palla al piede, testa alta, supera con eleganza regale un bianconero che cerca fi fermarlo e allarga poco fuori area, sulla sinistra, l'accorrente Maldera, il quale, stoppa, alza la testa per osservare il piazzamento dei compagni e "scodella" una precisa parabola per la testa del Bomber Roberto Pruzzo. L'azione si svolge davanti alla curva sud dello stadio, dove mi trovavo da abbonato, mescolato nella marea dei tifosi giallorossi che avevano invaso il Friuli in soprannumero occupando posti un po' dappertutto, anche quelli degli abbonati. Potete immaginare l'apprensione mentre seguivo la palla arrivare sulla "cabeza" del Bomber di Crocefieschi, uno degli specialisti nel condannare i numeri uno a raccogliere la palla in fondo al sacco dopo le sue capocciate.
Il bomber lascia sul posto il suo marcatore, colpisce di prepotenza e indirizza la sfera nell'angolo alto della porta difesa da Fabio Brini. Panico. Ginocchia in procinto di cedere, la delusione che monta come una valanga pronta a travolgere tutta la valle, battito cardiaco che s'impenna. Stop. La rete non si muove e una lunga sagoma grigia con il numero uno sulle spalle si è allungata all'improvviso e ha fatto sparire il pallone dalla vista. Quell'ombra lunga e grigia era Fabio Brini che, con un balzo felino, in stile altrettanto elegante rispetto a quello diverso del Divino Falcao, afferrò in volo a due a mani la palla ricadendo sul prato del Friuli in presa, sicura bel lontano dalla riga di porta, ricacciando in gola l'urlo di gioia a tutti i giallorossi sul campo, in panchina e sugli spalti. La beffa era stata evitata e il battito del cuore poté ritornare rapido alla velocità normale; ma la calma non durerà neanche un minuto e non ci sarà neanche il tempo di festeggiare lo scampato pericolo perché una gioia ancora più grande era in procinto di scatenarsi. Il buon Fabio, con i giallorossi ancora increduli, si alzò subito in piedi e guardandosi rapidamente in giro lanciò con le mani la palla poco fuori dall'area ad Edinho, che l'allungò qualche metro più avanti a Causio che a sua volta calciò lungo verso l'area giallorossa per lo scatto di Zico. E già sappiamo cosa accadde in seguito. In meno di un minuto quattro tocchi, uno di mano e tre di piede e da una porta all'altra cambia il destino di una partita e forse di un campionato.
In minuto allo stadio Friuli, quel 6 novembre 1983, i fortunati 50.000 presenti furono testimoni partecipi di tutto il bello che può offrire emotivamente e tecnicamente il calcio.
Fabio Brini, marchigiano di Sant'Elpidio nato nel 1957, difese poi la porta dell'Udinese da titolare sino alla stagione 1985/86, coprendo le spalle a Beniamino Abate nelle due successive, mettendo insieme 92 presenze complessive in maglia bianconera. Prima di giungere a Udine nella stagione 1983/84 aveva militato nell'Ascoli e nella Civitanovese, mentre successivamente fu tra i pali di Vicenza, Avellino e Avezzano per chiudere infine la carriera nella Fermana.
Per sempre resterà nella memoria come il portiere dell'Udinese di Zico.
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