Riprendere o non riprendere, questo è il dilemma. Parlare di tornare in campo, però, non è uno sfizio soltanto di chi senza pallone non può stare. Il rispetto per i morti è una cosa che non c’entra in questo discorso: tutti abbiamo persone care che se ne sono andate ma se dovessimo avere rispetto per i morti, secondo il modo di pensare di molti, non dovremmo ripartire più in nessun ambito. A molti non è ben chiaro un particolare, il calcio non è soltanto 22 scemi in pantaloncini che corrono dietro ad un pallone, è un'industria che dà da vivere a moltissime persone, parte integrante dell'economia del Paese. 

Molto più di un semplice sport, fatelo presente alla Pellegrini e Malagò che senza calcio tre quarti delle altre federazioni salterebbero. Tanti soldi, tantissimi, che vanno nelle casse dello Stato e che permettono a una quantità indefinita di famiglie di sopravvivere. Sì, non ci sono i Ronaldo o i De Paul (tanto per fare un nome in ambito udinese). Ci sono anche tante altre persone, un intero organigramma, che grazie al calcio mangia.

Non solo chi lavora direttamente in o per una squadra di calcio ma anche tutto l'indotto. Il paninaro fuori dallo stadio, il negozio online di magliette, l'autista che porta i tifosi in trasferta e chi ne ha più ne metta. Ci siamo poi anche noi, piccoli giornali e radio online, che per qualcuno non conteremo un cazzo, che saremo "cose superflue" ma che rappresentiamo comunque una realtà viva. Le famiglie che campano con queste attività cosa dovrebbero fare? Hanno la colpa di lavorare nel settore calcio? No, sono lavori onesti come tanti altri.

Ripeto, ricominciare a giocare a calcio non significa soltanto tornare a dare milioni ai calciatori. Quelli, i più ricchi soprattutto, possono smettere di giocare anche domani mattina perché anche senza un paio di mensilità sopravviveranno tranquillamente lo stesso, anzi sono i primi ad essere disposti a rinunciare a qualcosa pur di aiutare il sistema. Riprendere a giocare significa ridare un lavoro ad una decina di migliaia di famiglie. Persone normali, magazzinieri, collaboratori, segretari, addetti stampa, socialmedia, fotografi, addetti alla logistica, ristorazione, non milionari specifico, che lavorano nel mondo dove 22 scemi rincorrono un pallone percependo stipendi normali, dalla Serie A alla Serie D. Che cazzo di colpa ha sta gente? Sono, siamo, persone normali con tutte, persone che pagano le tasse, le bollette, che devono andare a fare la spesa come tutte le altre. Senza un lavoro, senza uno stipendio che faranno? Chi le aiuterà? Nessuno. 

Vero che siamo di fronte ad una tragedia senza precedenti, centinaia di morti al giorno, però una risposta va data a tutti, anche al calcio. Un'industria come altre, un settore economico come un altro, ossia gli stessi settori di cui voi stessi state chiedendo la riapertura...

E le società? Non sono fatte tutte da approfittatori, da spietati squali. Sono disposte a spese proprie a fare tamponi, visite, purché tutto possa ricominciare con un po' di normalità. Se si arrangiano per i conti loro, se non chiedono nulla a nessuno qual è il problema? Non prendono soldi nostri, prendono i soldi loro per tirare avanti, per non mollare.  

Si cerchi allora di ripartire, con le dovute precauzioni, senza fare una guerra. I moralisimi, di questi tempi in cui tutto va a rotoli, lasciano il tempo che trovano.

Sezione: Primo Piano / Data: Mar 21 aprile 2020 alle 12:02
Autore: Stefano Pontoni / Twitter: @PontoniStefano
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