Esistono poche figure carismatiche, nel ricco empìreo bianchenero, come l’udinese purosangue che oggi oltrepassa la barriera delle ottanta primavere: badate bene, solo ed esclusivamente anagrafiche.
Giacomini Massimo è, per quelli della mia generazione, il sinonimo della rinascita: anzi, della Rinascita. Correva l’anno 1977: dopo quasi un ventennio di serie minori, l’avvento di ‘Jàcum’ (che già qualche anno prima, in coppia con Manente, aveva conquistato il secondo posto nella Serie C di allora), ormai in possesso del patentino da allenatore e quello, importantissimo, di un omino veneto che aveva fatto fortuna coi gelati coincise con un biennio irripetuto almeno fino ai fasti di Spalletti e del Guido, un altro di noi.
Tralascio la carriera, luminosa (ma forse non all’altezza delle sue capacità tecniche) di Giacomini-giocatore: da ‘mister’, Massimo portò ad Udine, e forse per primo in Italia, quell’idea di calcio olandese, totale, tulipano che disorientava gli avversari; i due terzini, come si chiamavano allora, erano veri e propri laterali che spingevano percorrendo la fascia a ripetizione; fornendo, al contempo, ghiotte palle alle punte bianconere, abili a timbrare il cartellino con regolarità.
Introdusse il concetto di ‘falso nove’ quando in questo ruolo impiegò, in serie B, Ciro Bilardi da Ischia: Ulivieri faceva spazio a sportellate, Ciro si inseriva alle spalle della difesa avversaria, spesso imprendibile.
I centrali difensivi erano i primi propositori di gioco: Apostoli e poi Fellet, assieme a Leonarduzzi, portavano palla anziché sventagliare alla ‘viva il parroco’ come tanti colleghi dell’epoca.
Il risultato, assieme ad un gruppo di amici che ancora oggi (al netto di coloro i quali sono andati ‘avanti’, il DeBe e Charlie) si trovano con piacere a giocare una partita o bersi un bicchiere, è stata una cavalcata che in due anni, fra il 1977 ed il 1979, ha prodotto due promozioni da prima in classifica; 109 reti segnate, 39 subite; sei sole sconfitte in due tornei (due in C, quattro in cadetteria); le vittorie nel trofeo Anglo-Italiano e nella Coppa Italia SemiPro entrambe nel 1978; la felicità di un popolo che usciva da una tragedia immane e, con sofferenza e fatica, si risollevava rinfrancandosi alla domenica pomeriggio.
Massimo lascerà il suo capolavoro nell’estate 1979, nonostante una lettera aperta del presidente Sansòn, per approdare al Milan scudettato. Ne rimarrà tradito, in particolare dal vecchio portiere; dovrà risalire dalla serie B dopo la retrocessione a causa dello scandalo-calcioscommesse. Curioso che quell’anno, contro un’Udinese che sul campo retrocederà, il suo Milan guadagnerà un pari interno ed una sconfitta al Friuli.
Dopo quella parentesi Massimo allenerà in diverse piazze, da Trieste a Cagliari passando per Torino e Brescia, tornando ad Udine nel 1987 quando Pozzo gli chiederà di riportare l’Udinese in massima serie. Non riuscirà a condurre una squadra schizofrenica, verrà esonerato a beneficio della strana coppia Lombardo-Milutinovic (e successivamente Nedo Sonetti). Segno che i cavalli di ritorno non sono quasi mai vincenti.
Ma chissene: oggi si festeggiano i vent’anni per quattro di uno dei nostri simboli: auguri, mister: mi piace sempre ascoltare le sue disamine allo stadio, infarcite di aneddoti e fondamentalmente oneste.
Ci risentiamo su queste frequenze, caro Giacomini: magari quando le stagioni saranno quattro volte venti più dieci. E nella testa riecheggia la voce dello speaker, quarant’anni fa, che senza le urla di oggi né l’attuale americanizzazione della lettura ci informava: ‘allenatore, signor Massimo Giacomini’.
Un abbraccio, mister!
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