Basta ipocrisia, basta credere alla favoletta che prima di tutto vengono i tifosi. Non è così, per niente. Della gente a nessuno importa nulla: né alle società, né ai giocatori, ancora meno alla Lega.
Basta guardare le scelte degli ultimi anni. Il calcio spezzatino, le partite in streaming, il rincaro dei prezzi, le squadre rinchiuse in una bolla e sempre più lontane dal tifo, le bandiere che non esistono, i giocatori che si svendono a chi offre di più, la maglia che non ha più alcun valore.
E' arrivato, poi, anche il covid a peggiorare ulteriormente la situazione, a cancellare quel briciolo di rapporto vero, umano che avevamo con il calcio. Ora nemmeno gli addetti ai lavori possono parlare con un allenatore, tutto è chiuso, pre confezionato. C'è paura di tutto, anche di due parole.
È tutto fittizio, tutto votato al denaro. Si vende tutto, anche la dignità. Quello che è successo domenica con Udinese-Atalanta è l'esempio lampante del fatto che a chi sta in alto interessa soltanto il guadagno, null'altro. L'importante era giocare, mandare a avanti la baracca, e così è stato. Ma quel clima surreale, quella partita incomprensibile non può definirsi in nessun modo spettacolo. E' stato qualcosa di indegno, irrispettoso e non perché l'Udinese ha perso 6 a 2, l'avrei detto anche a parti invertite. Questa è stata una partita non aveva nulla a che fare con i valori dello sport, giocata per dovere e paura di penalizzazioni e basta. Se non ci si ferma nemmeno di fronte ad un'emergenza, ad un focolaio in atto quando lo si fa?
Si riempiono tutti la bocca parlando di riforme, di cambiamenti, di un calcio che deve provare ritrovarsi ma alla fine non cambia mai nulla o almeno cambia sì ma soltanto per gli interessi di chi comanda. La FIFA per guadagnare ancor di più vorrebbe i Mondiali ogni due anni, i club più grandi vorrebbero giocare soltanto fra di loro, i procuratori continuano ad ingrossare i propri conti correnti.
Che il calcio sia un'industria l'abbiamo capito ma è soprattuto anche altro. E' attaccamento, fede, condivisione, amore, famiglia, amicizia. E' credere in qualcosa, fare di tutto per sostenerla, è prendere la pioggia per cantare in curva, farsi ore in macchina per seguire una trasferta. E' divertimento, gioia, momenti che restano impressi nella mente. Se ci tolgono questo che resta? Nulla.
Dobbiamo riappropiarci della nostra passione, di quel sogno che ci stanno rubando sotto gli occhi. In qualsiasi modo, facciamolo in fretta. Perché è la gente la vera forza del calcio. Senza non è altro che un pallone di plastica e 22 coglioni che gli corrono dietro.
Basta guardare le scelte degli ultimi anni. Il calcio spezzatino, le partite in streaming, il rincaro dei prezzi, le squadre rinchiuse in una bolla e sempre più lontane dal tifo, le bandiere che non esistono, i giocatori che si svendono a chi offre di più, la maglia che non ha più alcun valore.
E' arrivato, poi, anche il covid a peggiorare ulteriormente la situazione, a cancellare quel briciolo di rapporto vero, umano che avevamo con il calcio. Ora nemmeno gli addetti ai lavori possono parlare con un allenatore, tutto è chiuso, pre confezionato. C'è paura di tutto, anche di due parole.
È tutto fittizio, tutto votato al denaro. Si vende tutto, anche la dignità. Quello che è successo domenica con Udinese-Atalanta è l'esempio lampante del fatto che a chi sta in alto interessa soltanto il guadagno, null'altro. L'importante era giocare, mandare a avanti la baracca, e così è stato. Ma quel clima surreale, quella partita incomprensibile non può definirsi in nessun modo spettacolo. E' stato qualcosa di indegno, irrispettoso e non perché l'Udinese ha perso 6 a 2, l'avrei detto anche a parti invertite. Questa è stata una partita non aveva nulla a che fare con i valori dello sport, giocata per dovere e paura di penalizzazioni e basta. Se non ci si ferma nemmeno di fronte ad un'emergenza, ad un focolaio in atto quando lo si fa?
Si riempiono tutti la bocca parlando di riforme, di cambiamenti, di un calcio che deve provare ritrovarsi ma alla fine non cambia mai nulla o almeno cambia sì ma soltanto per gli interessi di chi comanda. La FIFA per guadagnare ancor di più vorrebbe i Mondiali ogni due anni, i club più grandi vorrebbero giocare soltanto fra di loro, i procuratori continuano ad ingrossare i propri conti correnti.
Che il calcio sia un'industria l'abbiamo capito ma è soprattuto anche altro. E' attaccamento, fede, condivisione, amore, famiglia, amicizia. E' credere in qualcosa, fare di tutto per sostenerla, è prendere la pioggia per cantare in curva, farsi ore in macchina per seguire una trasferta. E' divertimento, gioia, momenti che restano impressi nella mente. Se ci tolgono questo che resta? Nulla.
Dobbiamo riappropiarci della nostra passione, di quel sogno che ci stanno rubando sotto gli occhi. In qualsiasi modo, facciamolo in fretta. Perché è la gente la vera forza del calcio. Senza non è altro che un pallone di plastica e 22 coglioni che gli corrono dietro.
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