In dieci giorni, dalla rotta ingloriosa di Empoli la legione stracca del fu generale Gotti s'è trasformata in una macchina da guerra nelle mani del fu tenente e oggi colonnello Cioffi: vittoria sfuggita per un nulla con il Milan, vittoria in Coppa sul Crotone, vittoria trionfale a Cagliari con altri quattro gol uno più bello dell'altro.
Cos'è successo, cosa sta succedendo? Si potrebbe liquidare il tutto con un “boh, sono le stranezze del balon”, ma così facendo si rinuncerebbe al gusto di approfondire, al piacere di immaginare spiegazioni, giuste o sventate che siano. E allora mi ci ficco, cominciando dall'individuare un denominatore comune nelle tre avversarie che l'Udinese ha affrontato sotto la guida del giovin Gabriele, giovane perchè a 46 anni si è tali, per le sbarazzine
tendine crinite che gli pendono sugli occhi, per lo sguardo sveglio a riflettere un lavorio mentale che si cala nell'immediatezza della situazione, per una presenza scenica non ossessiva, alla Antonio Conte per capirci, eppure costante e incisiva.
Fortuna c'entra anche quella ha voluto che l'Udinese, proprio nella fase del passaggio di consegne in panchina, incontrasse squadre in momenti bassi di rendimento, vuoi per stanchezza e delusione europea il Milan; vuoi per disinteresse Crotone così da preservare per il campionato le migliori energie; vuoi per depressione nera Cagliari.
In Sardegna sono bastati il bellissimo gol iniziale di Makengo e la successiva paratona di Silvestri sulla girata di Pavoletti per bruciare le poche certezze della squadra di Mazzarri, un'accozzaglia di sbandati che da come la vedo io dovrebbe avere come prossima conseguenza la giubilazione del piangina toscano. Ebbene, tutte e tre
queste squadre hanno invitato a nozze l'Udinese facendola ballare sul terreno che più predilige: odia i tempi sincopati, ama i ritmi bassi che le permettono di sprigionare la potenza dei suoi diesel e di assestarsi, se attaccata.
Non basta, comunque. C'è dell'altro. Sul copione consolidato del predecessore, Cioffi sta innestando del suo, anzitutto alzando di venti metri buoni il baricentro, così da creare una compattezza alta e
salvaguardando gli spazi arretrati mediante pressing intermittente a ridosso dell'area nemica e portando difensori ed esterni a fare i segugi sino nella metà campo nemica, togliendo ossigeno alla costruzione e alle ripartenze. Chi paga un po' è Beto, che lavora
compresso in spazi meno ampi; si guadagna esaltando Deulofeu e favorendo gli inserimenti dei centrocampisti mai così dinamici e degli esterni che non devono sfiancarsi ogni volta sui 50 metri.
Cos'è successo, cosa sta succedendo? Si potrebbe liquidare il tutto con un “boh, sono le stranezze del balon”, ma così facendo si rinuncerebbe al gusto di approfondire, al piacere di immaginare spiegazioni, giuste o sventate che siano. E allora mi ci ficco, cominciando dall'individuare un denominatore comune nelle tre avversarie che l'Udinese ha affrontato sotto la guida del giovin Gabriele, giovane perchè a 46 anni si è tali, per le sbarazzine
tendine crinite che gli pendono sugli occhi, per lo sguardo sveglio a riflettere un lavorio mentale che si cala nell'immediatezza della situazione, per una presenza scenica non ossessiva, alla Antonio Conte per capirci, eppure costante e incisiva.
Fortuna c'entra anche quella ha voluto che l'Udinese, proprio nella fase del passaggio di consegne in panchina, incontrasse squadre in momenti bassi di rendimento, vuoi per stanchezza e delusione europea il Milan; vuoi per disinteresse Crotone così da preservare per il campionato le migliori energie; vuoi per depressione nera Cagliari.
In Sardegna sono bastati il bellissimo gol iniziale di Makengo e la successiva paratona di Silvestri sulla girata di Pavoletti per bruciare le poche certezze della squadra di Mazzarri, un'accozzaglia di sbandati che da come la vedo io dovrebbe avere come prossima conseguenza la giubilazione del piangina toscano. Ebbene, tutte e tre
queste squadre hanno invitato a nozze l'Udinese facendola ballare sul terreno che più predilige: odia i tempi sincopati, ama i ritmi bassi che le permettono di sprigionare la potenza dei suoi diesel e di assestarsi, se attaccata.
Non basta, comunque. C'è dell'altro. Sul copione consolidato del predecessore, Cioffi sta innestando del suo, anzitutto alzando di venti metri buoni il baricentro, così da creare una compattezza alta e
salvaguardando gli spazi arretrati mediante pressing intermittente a ridosso dell'area nemica e portando difensori ed esterni a fare i segugi sino nella metà campo nemica, togliendo ossigeno alla costruzione e alle ripartenze. Chi paga un po' è Beto, che lavora
compresso in spazi meno ampi; si guadagna esaltando Deulofeu e favorendo gli inserimenti dei centrocampisti mai così dinamici e degli esterni che non devono sfiancarsi ogni volta sui 50 metri.
Si dirà: ci voleva tanto? Perchè non accadeva prima, con Gotti? Qualche scampolo di siffatte interpretazioni s'era visto anche prima, ma poi l'Udinese si placava, rinculava nel più rassicurante catenaccio trastullandosi nella pigrizia. Anche allora c'era Cioffi accanto a Gotti e si poteva immaginare una sinergia, una simbiosi tecnico-gestionale... Ma evidentemente i due non quagliavano e alla fine, complici i risultati asfittici, ha vinto il partito interno degli antigottiani, quelli che avevano già pesato Cioffi ritenendo le sue caratteristiche umane e tecniche funzionali a far emergere le qualità inespresse del gruppo.
“Pensiamo a lui come l'allenatore per tutta la stagione” ha dichiarato il dt Marino. Mi direte: cosa fai, scarichi Gotti di cui eri partigiano? Se abbaglio è stato, sono in buona compagnia. Per esempio degli allenatori nostrani che, per bocca del presidente Dante Cudicio, in occasione di una “lectio magistralis” dell'allora tecnico bianconero, ne decantarono la sapienza e la profondità d'analisi, superiore a ogni altro conferenziere prima frequentato.
Da studenti vi sarà capitato un insegnante fuori schema: preparatissimo, un pozzo di scienza, epperò inadatto a trasmettere il suo sapere. Questione di comunicazione, di linguaggi giusti per un certo target. Può essere, allora, che il professor Gotti, pensatore e uomo di eloquenza raffinata, non riuscisse a farsi capire sino in fondo, a imporsi al variegato campionario etnico e tecnico che gli era
stato affidato. Mentre pare che Cioffi sia sintonizzato sulle frequenze giuste anche per il modo in cui - a differenza del collega - accompagna e sollecita la squadra in campo, proponendosi da dodicesimo giocatore.
Siamo in luna di miele, ragazzi, godiamo. Ma confesso che già fremo al pensiero dei primi incroci del 2022: Fiorentina, Atalanta, Juve... Allora sapremo se davvero ci troviamo in casa un piccolo Garibaldi.
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