Esistono due momenti distinti in questa gara: un’analisi deve coprire i primi 39 minuti e venti secondi, circa; l’altra deve avere il coraggio di dire che nella zona mediterranea dell’Europa, giocare a basket è ambientalmente difficile, arbitrare spesso impossibile.
E quando dico “arbitrare”, intendo l’essere imparziali; così come hanno cercato di essere, nell’ambito delle circostanze del PalaMaggetti, per i primi 39’. Voglio dire che i tre, negli ultimi secondi, quando l’inerzia era tutta a a favore di Udine, se la sono letteralmente “fatta sotto”.
Sì: lo dico, e me ne assumo le responsabilità. No: non è malafede, forse peggio: quel senso tutto italiano che il grandissimo Remo Remotti espresse nel suo capolavoro, “Mamma Roma addio”.
Insomma: non so chi siano i tre, né conosco la loro provenienza geografica, interessa zero. Meno di zero. Ma fanno parte, per quanto preparati, di quell’Italia del “che, c’hai cento lire”, del “tengo famiglia”, del “ma se non li accontento, non è che mi devo rifugiare nello spogliatoio fino a domattina?”.
E in nome dell’autoconservazione più codarda, invece che avvicinarsi al tavolo e dire ai giudici “il prossimo insulto, la prossima bottiglietta, monetina, palla di carta lanciata in campo io sospendo tutto ed è 0-20”; invece di guardare loro, a muso duro, quegli scalmanati che (godendo della tipica impunità di queste parti, dove al massimo daranno le solite, ignave tremila lire di multa alla società) giocano al fianco dei propri bravissimi giocatori, influenzando le gare in maniera esiziale, decidono, gli arbitri, di incanalarla dall’alto della loro insindacabilità.
Ricapitoliamo? A quaranta secondi dalla fine Udine conduce di uno, quando Ray commette un fallo onesto su un ispiratissimo Adam Smith, uno di categoria obiettivamente superiore. Fischio corretto, dalla curva piovono oggetti ed insulti di ogni genere. Allan li guarda, lui è stato “shamrock”, che gli frega: fallo tecnico. Fallo tecnico? Cosa? Ma stiamo impazzendo? Allan parla con i compagni, agli arbitri (ripreso in primo piano) dice solo “Me? Why? Why?” Espulsione. Bravi, arbitri, avete ottenuto il vostro warholiano quarto d’ora di celebrità, da raccontare ai nipotini, quando gli direte “pensa, avevo tanta di quella paura che ho espulso il miglior giocatore ospite! Così ho fatto contenta la gente! Eh?”. Bravi, arbitri. Avete concesso a Smith ventisette liberi in un colpo solo; ma quei liberi, sappiatelo, ai miei occhi li avete tirati voi.
E oggi ho capito che nel duemilasedici ancora succedono cose che neanche nei bui anni settanta. Intendiamoci: ho sentito il Taliercio, il vecchio Chiarbola, il PalaDozza, la bolgia di Livorno e le intimidazioni che, onestamente, lasciavano i vari Vitolo o Duranti quasi sempre indifferenti. Non sono una verginella. Oggi però, nel duemilasedici, in A2 a Roseto un direttore deve avere il coraggio di dire basta.
Prima che tre Don Abbondio mettessero alla gogna le proprie teste di coccio, la gara era stata tecnicamente non perfetta, ma agonisticamente bellissima: due quarti di equilibrio assoluto, un terzo dominato da Roseto ed un ultimo periodo letteralmente comandato da Man Ray, che rispondeva “presente” assieme alla miglior partita delle ultime due stagioni di Big Joel Zacchetti. Mancava Pinton, contrattura alla schiena, e si è sentito; Okoye giocava spiccioli di gara qui e lì, ancora sofferente per un tendine infiammato ma la tripla del +4 è sua. Vito Nobile meglio di Sonny Boy Traini, stasera farraginoso quanto l’ambiente attorno a lui.
Dall’altra parte una bella squadra: Roseto è formazione equilibrata e non è solo Adam Smith: il play Fultz, veterano figlio dell’hippie John, numero undici della Virtus e per una stagione anche a Pordenone, garantisce solidità; Fattori, Casagrande, Mei e l’altro veterano Amoroso dànno punti e qualche carambola; sottotono il buon Brandon Sherrod, non proprio un americano esaltante. Eccellente l’apporto del montenegrino Todor Radonjic, diciannovenne di bellissime speranze. Gli Sharks hanno giocato bene, soffrendo il giusto contro una A.P.U. tutt’altro che remissiva. Era abbastanza prevedibile che sarebbero stati arrembanti all’inizio del secondo tempo, ma Udine è stata brava a farsi scivolare addosso l’impasse, a prendere buoni tiri e ricucirla, con calma e precisione, nel quarto finale. Coach Lardo si mostra migliore dell’esagitatissimo Di Paolantonio, già assistente a Teramo, mi pare, che preme sui grigi (ma questo ci sta: anche Lardo, seppur più educatamente, si fa sentire); la “box-and-one” di Lino produce recupero e strappo:poteva essere e non è stato.
Ma tutto ciò, una gara tirata e sportiva condotta fra due bellissime compagini, che hanno chiuso con abbracci e strette di mano a sancire il reciproco riconoscimento, è il nulla più assoluto: la partita, quella decisiva, l’han giocata la curva biancoblu, i tre grigi ed il coloured domestico col numero due dalla lunetta. Perché il resto del pubblico rosetano è caldo e passionale, nulla di più, ma quelli lì...
Ho appena letto le dichiarazioni del dynamic duo Pedone-Micalich: di solito è costume di chi commenta stemperare gli animi, ché a caldo i protagonisti pronunciano frasi che il giorno successivo producono qualche pentimento. Oggi no: Alessandro ci mette un sacco di soldi, di tempo, di energie e di passione; Alessandro e Davide guidano una formazione, una società corretta e sportiva, così come il proprio pubblico, alcuni esponenti del quale (ovviamente i Settore D) anche a Roseto si sono fatti sentire; non è accettabile che la Federazione tolleri ancora comportamenti lesivi della dignità e della sportività degli avversari guadagnandosi, al peggio, un buffetto e, come detto, tremila lire di multa. Purtroppo vale sempre il referto arbitrale, ed oggi “los tres alarmados” diranno che sì, è arrivata una palletta di carta o due, ma che cattivo il signor Ray Allan, che addirittura ha guardato la curva!
#iostoconPedone. Pres, con meno ricchezza di termini disse la stessa cosa un giocatore brasiliano, una trentina d’anni fa, dopo aver visto Maradona segnare di mano sotto la Nord e il voluminoso arbitro Pirandola di Lecce indicare il centro del campo. Apparve in sala stampa, ultima volta nella sua carriera italiana, e disse “uno havora, tuda a setchimana... yyy dopo ariva uuu... un incompetente che rovina tudo”. Prese sei giornate di squalifica. Pirandola non arbitrò più. Si chiamava Arthur Antunes Coimbra.
Ora basta: Ray è un professionista, anzi un Pro; e per parafrasare Christian Vieri, è più uomo lui di tutti coloro i quali, riparandosi dietro il materno scudo dello striscione e dell’impunità, insultano come fosse normale chi è diverso da loro...
PS – ero a Cleveland per la prima gara di regular season, mercoledì scorso. Se qualcuno si azzarda ad alzarsi dal proprio posto per urlare una cosa del genere, ma anche di meno, si trova in tempo reale con l’interdizione perpetua a frequentare le arene NBA. Altroché tremila lire ed un buffetto.
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