Tre anni. Tre.
Tre anni per capire che in panca ci sarebbe dovuto andare un allenatore normale, non profeti, Anziati o Gioacchini, da “ringraziare e cui augurare le migliori fortune professionali”, per esprimere il sollievo di essersene liberati: quasi fossero stati altri, poteri forti, a costringere la firma su contratti spesso più lunghi del dovuto.
Tre anni per capire che le simpatie personali, in questo mondo, stanno a zero a meno che in campo non ci metti dei fenomeni: quelli che l’Udinese aveva ed ha ceduto, permettetemelo, con grande agilità. Forse troppa.
Tre anni per capire che al timone ci voleva un altro friulano. Sì, perché il “Guido” è più friulano di tanti fra di noi, se con questo termine non si incarna solo l’origine geografica, la tendenza all’abuso enoico e quella al turpiloquio (ebbene sì, mi sta ancora fra cardias e piloro, quella storia partita da un noto comico genovese e terminata con un signore decisamente meno noto). Friulano significa dedizione, lavoro inteso come impegno personale, poche parole e misurate; friulano significa empatìa per una terra e chi la popola, ma in generale per chi soffre, che viene aiutato senza indugio, fosse egli bianco, nero, giallo o marziano.
Ieri sera non ho visto la gara in diretta. Me la sono guardata stanotte, sapendone l’esito e quindi scevra dal pathos dell’attesa, del cronometro, di un Gavillucci non scandaloso ma certamente nemmeno nemico dello stadio di proprietà della Exor. E al fischio finale, fra gli abbracci dei casalinghi, mi sono fatta un’idea, per una volta per nulla balzana.
L’Udinese, finalmente in una guardabile tenuta blu, ha prodotto più gioco, più intensità e più occasioni ieri sera che nei tre anni precedenti; a chi mi parla di turnover dei domestici, rispondo che i friulani hanno fuori mezzo centrocampo e il loro migliore laterale, Silvano Widmer. E in panca non c’è Higuaìn, ma il solito Perica volitivo e volenteroso (fosse anche mortifero sotto porta farebbe da rincalzo a Diego Costa) ma un titolare di serie A dovrebbe fare un pochino di più che correre e lottare. Ieri sera ha giocato da laterale, non la sua posizione, non demeritando né meritando. Roba da seimenomeno.
C’è chi ha parlato di Kums peggiore in campo e Delneri sopraffatto da Allegri nel leggere la gara. Peccato che tutti, tutti fra noi, avessero sostenuto solo ieri che si sarebbe perso, quasi certo, ma almeno Gigi li avrebbe dovuti condurre ad una gara orgogliosa e non alle solite barricate. Bene: il grande Massimiliano ha finito la gara giocando con otto effettivi a difesa dell’area di rigore, un 5-4-1 di Anziate memoria, che parlando di Juventus definiscono “conduzione cinica e accorta”. Io lo chiamo con nome e cognome: catenaccio.
Sì: la Juve ha fatto catenaccio. Ha giocato malissimo un tempo intero, quando i blu/bianchineriveri li andavano a prendere all’altezza di Benatia impedendo a questi di gestire l’inizio del gioco. Ha trovato il pari su un’invenzione di Dybala (mi spiace, Karnezis rivedibile perché per quanto bella la parabola era matematico che l’avrebbe sparata esattamente lì, quindi lui e barriera sono andati a farfalle per sua decisione iniziale) ed il raddoppio su un rigorino ingenuamente causato da DePaul, su cui Alex Sandro Dibiasi si esibisce nel pezzo forte. Niente di scandaloso, ovvio: il rigore si può dare, e Gavillucci ovviamente non attendeva altro. Ma in Europa, o semplicemente nella stessa gara ma a parti opposte, si pensa un pochino e poi si lascia andare per l’accentuata reazione dell’offendente al tocco dell’attaccante (io l’avrei fischiato, sia ben chiaro).
Già: la potentissima dominatrice del campionato ha segnato su due calci franchi, mentre sulle occasioni di gioco ha fatto match pari con una delle squadre da più tempo in rottura prolungata nella massima serie. Il palo di Felipe, infatti, urla ancora vendetta.
Non mi illudo, no. Ma qualche segno c’è.
Intanto Delneri ha lasciato a casa Cirillo bevitore di assenzio e nostalgico del Marsiglia preferendogli il gemello Théréau, migliore stoccatore di casa Udinese. Ha inserito dal primo minuto Jankto facendogli fare quello in cui riesce meglio, ed il ragazzo ha mostrato tutte le doti che ne fanno, per me, l’erede naturale di Jankulovski. Ha avuto da Samir le risposte che chiedevamo, fino a quando il fiato gli ha retto (un tempo); ha mostrato di leggere la gara come il predecessore fece in una sola occasione, a San Siro contro i rossoneri.
Ora viene il difficile: perché contro quelli fortissimi, senza nulla da perdere, è relativamente facile esibire la prestazione. Domenica, all’ora dell’orzo coi fagioli, arriva il Pescara di Oddo, diretta concorrente alla salvezza che dev’essere battuta, non solo nei numeri ma anche nel gioco.
Tutto bene, dunque? No, perché in fondo si è perso. Perso per errori individuali, più che per atteggiamento. Sulla punizione del pareggio (non fosse arrivato prima dell’intervallo, Allegri avrebbe dovuto pensare un inizio di ripresa diverso) il fallo di Filippo era netto ma evitabile; sul rigorino, DePaul non deve allungare la gamba su un avversario che sta puntando il centrocampo, mai. A prescindere da questo, né lui né Kums sono riusciti a prendere in mano le redini della squadra, come possono e devono fare. Eccellente, come detto, Jankto e come lui un fisicissimo Fofana. E, udite udite, nemmeno il fotomodello iracheno ha demeritato, bombardando nel finale l’area avversaria con taglienti cross.
È già prepartita-Pescara. Poi sarà Palermo alla Favorita, e Torino nel Monday-aperitivo del 31 ottobre. Io fra le due casalinghe faccio anche in tempo ad andarmene in America, sperando, per la gara del mercoledì, in uno streaming stabile come quello che mi ha permesso, da Tokyo, di assistere allo scempio finale di Gioacchino da Ascoli. È ora di far punti, arrivare ai Santi a dodici sarebbe buono, a quattordici si parlerebbe di striscia eccellente.
Avanti tutta, Gigi. Lo sai: sono prevenuto, e per “quelli di noi” come Te, Zac, Jàcum, Enzo Ferrari ed il “Guido”, parole brutte mai.
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