Ci ho provato. Ho provato a parlare ma forse ignoro la tua lingua. Forse ho usato tutte frasi sbagliate.
Le tue risposte? Sassate.
Ho usato, mi perdonerà se l’ho modificato, uno splendido componimento di Giorgio Caproni, poeta ermetico livornese abilissimo a condensare in tre versi situazioni spesso complesse, che ben s’attaglia al nostro presente pallonaro.
Sassate: questo riserva l’Udinese a chi non è indifferente ai colori, bianco e nero, che oggi avvolgono pedatòri modestamente impostati.
Peggior squadra d’Europa nel 2018: così ha sancìto l’ennesima sconfitta subìta alla Dacia Arena, denominazione commerciale di uno stadio il cui vero nome questi giocatori si sono scordati, e forse meglio così.
Sono sassate.
Sessantatré sassate: come le volte in cui Scuffet e Bizzarri hanno raccolto sfere terminate nella propria porta. Terz’ultima difesa nella massima serie.
Centosessantasei sassate: tante quante le partite più o meno involute che, dopo il trionfo 5-2 sulla nerazzurra stramaccioniana del maggio 2013, l’Udinese calcio ha inanellato fino a quella deprimente di due giorni fa. Vero: alcune di queste sono state giocate decentemente, ma la lapidazione cui ci hanno sottoposto cancella ogni bel ricordo.
Novantatré sassate: sono le sconfitte nei campionati appena sopra citati. Un minimo di 17, il massimo quest’anno quando, a due gare dal termine, se ne sono perse ventidue. Ventidue. Ventidue.
Otto sassate: quanti gli allenatori che negli ultimi cinque anni si sono alternati alla guida della cosiddetta squadra.
Una sassata, ma grande come una casa: l’indolenza dei calcianti che indossano, immeritatamente, i sacri colori che furono di Lindskog, Bredesen, Raggiodiluna, e i grandi cuori di Zorzi o Uaìne Feruglio. Pare impossibile, sembrano atterrati a Udine per caso. Mi rifiuto di pensare che siano solo scarsi. Mi rifiuto di fare qualsiasi ipotesi, perché la migliore che mi venisse in mente appare semplicemente censurabile. Vorrei me lo spiegassero loro. Non lo faranno, perché anche leggessero quello che scrivo non capirebbero, o non intenderebbero capirlo. Ovvio: ci sono delle eccezioni, ed è da queste mi piacerebbe la società iniziasse il nuovo corso. I nomi li sapete già: partecipi di un campionato scadente, vittime di chi questo campionato lo stanno perdendo più di loro.
Una sassata, grande come un meteorite che arrivi sulla Terra: il silenzio. Di chi? Scegliete Voi. Certe volte mi piacerebbe sentire il rumore di un bastone sul tavolo, una voce che, perdio!, addirittura imprechi se necessario. Invece nulla. Tanti rumori di fondo, disturbanti, nomi che vengono e vanno e la sensazione dell’inadeguatezza di troppe scelte. Troppe. Non solo in campo.
Sassate.
Lanciate.
Ricevute?
Sì, ricevute. In faccia, in mezzo agli occhi, dove fa male, fottutamente male.
Sassate sui sostenitori. Quelli organizzati nell’A.U.C., che continua a seguire la squadra ma promette una seria richiesta di spiegazioni una volta raggiunta la formale salvezza. Salvezza, sì, perché l’Udinese la raggiungerà: per incapacità altrui di fare più punti di noi. Formale, sì: perché come ho detto questa squadra ai miei occhi è scesa di categoria quando si è ritenuto normale incolpare di tutto un ragazzo pescarese, reo forse di essere troppo duro ma rispettabile. Quelli organizzati ma non appartenenti al Coordinamento, che seguono comunque e dovunque questi colori e come biasimare chi, fra loro, ritiene di contestare questo stillicidio di dolore calcistico. Le mille anime della Curva Nord, grande cuore bianconero; chi fischia e chi sostiene, chi grida e chi tace, tutti colpevoli: sì, di amare la biacca ed il carbone. E di ritenere, i cori lo testimoniano, Massimo Oddo un professionista serio.
Sassate su noi cantori: mi si chiede perché io scriva così poco di Udinese, ultimamente: e per dire cosa? Per raccontare cosa? Ho rivisto la gara di domenica scorsa, e mi è salito il groppo in gola quando ho visto Samir, Danilo e addirittura Bizzarri immobili, impotenti sulle reti di Rafinha e Icardi. Ammetto: credevo di aver sbagliato; credevo che quel filmato fosse invece un film, ‘l’allenatore nel pallone’ dove Aristoteles, quando segna, ne scarta sette inclusi i suoi compagni di squadra. Ma quella è finzione, la nostra a tratti pare farsa. Con un allenatore, appena arrivato, che siede in panca a bere acqua, quasi fosse normale farsi brutalizzare dall’Inter che un girone fa precipitammo nello psicodramma che potrebbe costare loro la qualificazione europea più prestigiosa. Differenze? Il film con Banfi ha un lieto fine; il nostro film, invece, comunque vada sarà un disastro.
Sassate.
A Verona il tifo udinese sarà caldo e numeroso. Voi, giocatori, avete il dovere morale di vincerla e chiudere questo scempio con un minimo di dignità.
Questa gente se lo merita. Questa gente si merita rispetto, guadagnato sempre, comunque, dovunque. Questa gente non sarà mai la Vostra gente.
E quando dico Vostra, sedicenti giocatori, sapete a chi mi rivolgo. Questa gente sarà sempre la gente di Liverpool: il senso di appartenenza di Giovanni, di Maurizio, di Giampiero, di Marco Davide; e di Gabriele, di Simone, penso di Kevin, di pochissimi altri.
Agli altri ricordo solo una cosa: noi siamo l’Udinese. Voi, no. E se ne siete lieti, affari vostri. Noi siamo l’Udinese.
Noi.
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