Sportweek, ieri in edicola con la Gazzetta dello Sport, ha raggiunto mister Massimo Oddo per una corposa intervista, dove il tecnico ha parlato di tutta la sua carriera.

Oddo ha iniziato la sua carriera da allenatore negli Allievi B del Genoa, esperienza che, come lo stesso tecnico ha affermato, inizialmente non lo convinceva appieno: «Inizialmente pensavo non fosse un’esperienza adatta a me. Oggi dico che è stata l’avventura più bella della mia vita.I ragazzi di quella età sono delle spugne, assorbono tutto ciò che gli trasmetti: valori, concetti, esperienze. Hai la possibilità di formarli, plasmarli, crescerli: in sei mesi diventano uomini e giocatori. Ero un educatore, non un allenatore, e non c’è niente di più appagante. Mi sono innamorato di questo mestiere grazie a quei ragazzi. Peccato che molti tecnici dei settori giovanili si sentano invece allenatori, abbiano in testa soltanto la loro carriera e cerchino il risultato a discapito della formazione dei ragazzi».

Già però con i ragazzi delle giovanili, il tecnico ha iniziato a portare avanti una serie di concetti che si è portato anche ad Udine: «Gli dissi subito per me contava l’allenamento. La partita era un di più, utile ad applicare il lavoro della settimana. Il mio obiettivo non era vincere, ma trasmettere un’identità di gioco fatta di palla a terra, passaggi negli spazi e non sui piedi, movimento continuo e coraggio».

Per Sportweek l'esperienza con il Pescara non è stata positiva, ma Oddo non è, giustamente, d'accordo, visto che in B ottenne la promozione e in A perse Lapadula e Torreira nel corso del mercato esitvo, senza ricevere particolari rinforzi: «Non sono d’accordo con questa affermazione. La mia filosofia di gioco ha pagato eccome. In B con i risultati, in A con gli apprezzamenti ricevuti tranne che nelle ultime tre o quattro partite della mia gestione, quando la squadra aveva ormai mollato mentalmente.Prima, non avevamo quasi mai preso imbarcate. Con Napoli e Inter abbiamo rischiato di vincere, abbiamo messo in difficoltà il Milan a San Siro. E li avevamo messi in difficoltà proprio col gioco Abbiamo pagato gli errori individuali, davanti alla porta avversaria e alla nostra, di giocatori che avevano fatto la differenza in B ma non erano, o non erano ancora, all’altezza della Serie A. È mancata la qualità individuale, non del gioco. Il mio Pescara ha espresso gioco senza vincere: difficile riuscirci, quando non hai uno che faccia gol. Caprari è fortissimo, ma non è un centravanti. Quel Pescara era meno forte della squadra promossa dalla B: avevo perso Torreira e Lapadula, non due qualsiasi».

L’Udinese esprime un gioco diverso rispetto al Pescara, in tanti si aspettavano che anche nella nuova esperienza l'ex Milan e Lazio portasse un certo tipo di gioco, basato sul palleggio. Invece i bianconeri stanno diventando specialisti nelle ripartenze: «Ho le mie idee, ma non sono un integralista. Non lo sono mai stato. Non sono un testone che va contro l’evidenza. L’anno scorso ho fatto degli errori che mi sono serviti per crescere, ma passavo per essere quello che va avanti con le sue idee senza tener conto della squadra: non è così. Proprio perché conoscevo la squadra, le caratteristiche di ogni giocatore, ero convinto che il Pescara potesse giocare solo in un modo: portando la palla in avanti col fraseggio stretto e con tanti uomini. Caprari e Verre non sono Lasagna e Jankto, che all’Udinese mi fanno scatti di 50 metri permettendomi di giocare più basso e di ripartire: loro scattavano al massimo per 30 metri».

Oddo infine sintentizza la sua idea di gioco: «Riconquista immediata della palla. Il modulo è indifferente. Mi adatto ai giocatori che ho. A Pescara usavo il 4-3-2-1, qui il 3-5-2. Giocare bene non dipende dal modulo, ma dalla capacità dei giocatori di fare ciò che gli chiedi. Il resto è figlio delle qualità individuali, che si esaltano in un collettivo che funziona. In Serie A, per idee e filosofie di gioco, stimo Sarri, Di Francesco, Giampaolo».

Sezione: Primo Piano / Data: Lun 15 gennaio 2018 alle 18:00
Autore: Davide Marchiol
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