Esauritasi la lunga vigilia, caratterizzata dalle ripetute e colorite lagnanze sul fronte udinese per la sfortuna che aveva colpito a più riprese l'ammiraglia bianconera sottoforma di squalifiche, infortuni e contrattempi di ogni natura e dal silenzio che invece permeava di fiducia le sponde del Natisone durante l'avvicinamento al big match, l'atteso derby di ritorno si è infine consumato nello storico impianto dei Rizzi in una cornice spettacolare, gremito all'inverosimile ma soprattutto emotivamente partecipe come non si vedeva dai tempi delle sfide contro i "cugini" di Barcola, con un'unica, abissale differenza rispetto alle disfide con Trieste: l'assoluta correttezza di due tifoserie che si sono spremute solamente per incitare i propri beniamini, senza alcun tipo tipo d'invettiva o sfottò nei confronti dei rivali.
Sul campo alla fine si è imposta Udine con pieno merito, confermando ancora come i derby siano partite che spesso e volentieri premiano chi pare sfavorito alla vigilia, così come peraltro avvenne nella gara di andata quando ad imporsi furono i gialloblù ducali sui più accreditati bianconeri allora guidati in panchina da Matteo Boniciolli. Il clima da "ultima spiaggia" che aleggiava nell'ambiente udinese, unito probabilmente al "terrore" di venire ancora sconfitti dai "vicini di casa" di periferia con conseguenze negative importanti in vista dell'imminente fase ad orologio che determinerà la griglia per i play-off promozione, deve aver fatto accendere quella miccia di garra, unità d'intenti, orgoglio e voglia di difendere su ogni pallone che ancora non si era visto al Carnera nelle precedenti recite stagionali di Antonutti e compagni mentre, azzardiamo, i ragazzi di Pillastrini che invece hanno nel loro DNA tali qualità, non si sono trovati a loro agio nei panni del tutto nuovi per loro, quello di favoriti e hanno sofferto oltremodo la tensione e pagato il dazio del noviziato per la situazione venutasi a creare.
Niente di grave, intendiamoci: rientra nella fisiologia di ogni outsider; le manifestazioni di giubilo sul fronte udinese per la vittoria a cui era stata dato mediaticamente il contorno della "mission impossible" deve inorgoglire ulteriormente la "truppa" ducale e spingerla con rinnovato vigore a chiudere in crescendo una stagione in cui l'obiettivo stagionale - la salvezza - è stato già raggiunto con largo anticipo e questo si veramente "against all odds", come avrebbe detto Phil Collins alla vigilia del torneo. Udine sarà invece subito chiamata a dar prova sul difficile campo di Forlì che il ritrovato spirito di gruppo non è stato solo frutto di circostanze non ripetibili, ma invece il punto di svolta di un torneo fin qui tribolato a tutti i livelli per cercare di rincorrere ancora l'obiettivo dichiarato ad inizio stagione: la promozione nella massima serie.
A fine gara abbiamo raccolto i pareri a caldo sul match da parte di due ospiti eccellenti come il prof. Flavio Pressacco, coach scudettato con gli juniores Snaidero nel 1976 e il capitano della nazionale azzurra oro agli europei di Nantes, "Jack" Galanda; per il primo è stata "una sfida rivedibile sul piano squisitamente tecnico, ma certamente entusiasmante per la bellissima cornice di pubblico presente", mentre per il secondo "una partita operaia in cui l'equilibrio è stato rotto dal talento più diffuso che Udine ha nelle sue fila, come hanno dimostrato le eccellenti performance individuali di Monaldi e Gaspardo e la miglior prestazione stagionale di Udine sul piano difensivo".
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