A me? Parlando di domenica passata, un rammarico grosso come l’Empire State Building. L’Inter era stata messa sotto, prendere una rete (l’ennesima con giocatore mal marcato in area piccola) a tre giri di lancetta dalla fine fa malissimo. Come malissimo fa chi dice che i verdefluocelesti non hanno meritato di vincere, dopo il pippone che ci siamo fatti a seguito della gara di Bergamo.

La vita va avanti, e domenica al Friuli arrivano i giallorossi di Lucianone Spalletti. Clienti difficili: anche se si schiereranno senza De Rossi, Rudiger e Salah, quando i rimpiazzi si chiamano Manolas, Nainggolan (abbassato) o El Shaarawy c’è poco da stare sereni. Specie se per l’Udinese non giostrerà sulla fascia di competenza Silvano Widmer, cui auguriamo una guarigione velocissima.

Ma l’Udinese di questi tempi gioca: deve solo imparare dai propri, ripetuti errori. La gara di domenica è un match-point che dalla serenità può trasportare l’ambiente verso la felicità, verso una dimensione finalmente più vicina ai fasti bianchineri che alle recentissime disavventure targate Roma, Anzio, Ascoli.

Delneri come la beata Quartina: ha già fatto molto, ma l’Udinese è ancora metà marchese, metà carbonaro. Ma gioca al calcio, come dicevamo, che di questi tempi è patrimonio di pochi: tolta la Juventus, c’è l’Atalanta, il Torino, la Roma e il Napoli, pochissime altre. Non certo il Milan (che però ha un’identità di squadra fortissima, giovanissima ed italianissima) e soprattutto l'Inter: mi hanno detto che sbaglio a giudicarli male, che stanno tenendo il passo della Juventus; poi mi rivedo le loro ultime gare contro Lazio, Genoa, Sassuolo e Udinese (12 punti) e riconosco, con qualche ancatina d’Eupalla in più, l’Udinese del recente passato.

Roma come crocevia: una prestazione buona con risultato annesso significherebbe spazzare via il passato, inchiodare sul cavalletto una tela nuova sulla quale Delneri potrà stendere colori più cònsoni allo stadio cui le ultime stagioni hanno riservato prestazioni devastanti. Delneri, e Bonato: ripongo gran fiducia in questo gentleman di stampo inglese, cui i Pozzo stanno affidando la ricostruzione di un progetto naufragato sugli scogli di una schifosissima bassa marea a causa di scelte a dir poco discutibili, sia in panca che in campo. E Kevin Lasagna, se arriverà, assieme a qualche altro giovane italiano sarebbe testimonianza che sì, l’impianto esteròfilo della “proprietà” non varierà; ma l’inserimento di qualche ragazzo nato qui, capace di spiegare a qualche foresto dalla capoccia più dura cosa significhino questi colori e questo ambiente, è il primo passo verso la normalizzazione.

Solo lunedì passato, parlandone con un amico, dicevo che la delusione dopo la gara con l’Inter era pari, per me, solo ad un’altra in passato. No: non il Braga, o il Werder. No, non la sconfitta contro un Barcellona giallo fluo, ma quell’aprile 2011 in cui, un sabato sera, l’Udinese lanciata verso la qualificazione Champions incontrava proprio la Roma.

Erano i giallorossi di Montella, subentrato a Ranieri a febbraio di quell’anno “live from” la categoria “Giovanissimi”; era la Roma di Totti per novanta minuti filati, di Doni Pizarro e Taddei, ma quel giorno venne qui ben coperta sperando di non prenderle. E la truppa di Guidolin, priva di Sànchez e Inler, giocò meglio dell’avversaria fino a quando, nella ripresa, un rigorino (netto) sul Pek permise a Totti di scucchiaiare alle spalle di Handa. La riprese Totò, uno a caso, su spizzata di Corradi all’87’ (di nuovo!) e il finale udinese fu arrembante. Non ci si accontentava, non ci si fermava mai: Asamoah subì fallo mentre stava spingendola in rete, l’arbitro indovinò un fallo di mano (sì, ma sulla spinta del giallorosso!) di Kwadwo. Sul capovolgimento di fronte una nefandezza di Cuadrado su una rimessa laterale (che secondo me incrinò definitivamente il rapporto fra mister Francesco e il colombiano) permise a Totti, indisturbato in area piccola, di trasformare in rete un cross dalla sinistra.

Persa. Immeritatamente, inopinatamente, quando la si era anche vinta, ad un certo punto. A fine anno furono comunque preliminari di Champions, proprio a spese delle romane: la Lazio per la regola degli scontri diretti; la Roma grazie alla vittoria bianconera di Chievo ed alla concomitante sconfitta giallorossa a Catania.

Persa, quella sera, chiaramente a causa di un errore, chiamiamolo così, del direttore di gara: absit iniuria verbis, sicuramente una svista.

Domenica è un’altra gara: Udinese con meno qualità di quella, forse immensamente meno; Roma diversa, probabilmente meno identitaria ma secondo me più forte. Vinca il migliore? Ciò, speremo de no!

A proposito... Mi chiederete chi fosse l’arbitro quella sera. Facciamo così: accendete il televisore, sintonizzatelo su di un canale RAI; aprite il Televideo alla pagina 202, e leggete chi dirigerà Udinese-Roma domenica prossima. Esatto: la stessa persona. Nella speranza che domenica il barlettano 45enne non incappi in sviste così macroscopiche. Sviste, lo sottolineo. Sviste...

Buona gara amici miei biacca e carbone: ed alla fine tutti a Cividale, a sostenere gli altri bianchineri udinesi, i quali hanno riportato lo scudo dei Savorgnan in serie A nella pallalcesto. Nell’attesa, spero non godottiana, di entrare al Carnera tremante come da bambino.

Sezione: Editoriale / Data: Sab 14 gennaio 2017 alle 10:33
Autore: Franco Canciani
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