Nessun italiano in campo. Mancini e De Canio per la sfida tra Inter e Udinese hanno scelto di mandare in campo 22 stranieri. Non che gli italiani fossero in tanti nemmeno fuori. Alla fine a tenere alto il tricolore restano il malcapitato Celi e i subentrati Pasquale e D'Ambrosio. Ci possiamo mettere dentro anche Eder, che italiano però è solo per metà.
Un problema che non è solo di Inter e di Udinese ma di un calcio generale che sta perdendo stagione dopo stagione la sua identità nazionale. Viene da chiedersi perché. Perché le nostre squadre italiane preferiscono sempre i giocatori stranieri a quelli dei settori giovanili nostrani? La risposta sta sempre lì, nel business e nel mercato che autorizzano tutte le strade che portano al successo, anche quando si parla di distruggere il movimento nazionale.
"Il calcio professionistico non ha scrupoli perché fa parte di un sistema di potere che scrupoli non ha e che è disposto a comprare l’efficacia a qualsiasi prezzo. […] Il fine giustifica i mezzi, e qualsiasi maialata va bene, anche se è meglio farla di nascosto.” E. Galeano
Le squadre di calcio sono diventate delle enormi multinazionali, delle fabbriche di calciatori da rivendere in un mercato sempre più selvaggio. Il calcio è un affare: c'è un prodotto da vendere e un profitto da trarre. Non c'è più spazio per la passione e soprattutto per l'educazione sportiva, a cominciare dalle società dilettantistiche che spesso speculano su piccole potenziali promesse. Ragazzini a 8-10 con già al targhetta del prezzo appesa al collo e procuratore sciacallo, pronto a specularci sopra.
Si guarda sempre di più poi ai risultati che alla crescita di un vivaio sano. Come in qualsiasi industria anche nel calcio si è verificata "delocalizzazione delle linee di montaggio in paesi con costo della manodopera più basso" che significa in parole spicciole andare a prendere giocatori dove costano meno. Per questo molte squadre vanno a prendere ragazzi più pronti fisicamente all'estero, dove il costo è minore, per vincere subito. Vincere, vincere e vincere perché alla fine è solo il risultato che conta. Basta guardare nei settori giovanili dei nostri club dove ci sono più stranieri che italiani. Ci sono formazioni con dieci o undici stranieri in campo.
Tutto ciò, che parte dal basso, inesorabilmente si riflette in alto, nelle prime squadre. Il paradosso è che la Serie A è uno dei campionati con le norme più restrittive per il tesseramento di calciatori extracomunitari. Sostanzialmente da noi se ne possono prendere due dall’estero a patto che ne escano altrettanti, nel rispetto della legge che regola i flussi migratori. In Germania puoi prenderne quanti ne vuoi. In Spagna un calciatore che gioca da 5 anni nel paese può essere naturalizzato. In Inghilterra, invece, dove hanno un sistema teoricamente improntato sull’eccellenza di chi entra sono in allarme come e peggio che qui, hanno già riformato le strutture delle giovanili e valutano se mettere un cancello agli extra.
Si potrebbe cambiare ma non si vuole. "Una follia imporci di acquistare italiani, non ci sto, siamo in un villaggio globale", gridava a gran voce il presidente del Napoli De Laurentiis. Le riforme sono state fatte ma non piacciono, anzi c'è sempre più la tendenza ad aggirarle. Fatta la legge, trovato l'inganno un po' come sempre in Italia.
Autore: Stefano Pontoni / Twitter: @PontoniStefano
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