Durante la pausa per le Nazionali inevitabilmente, pur amando tantissimo l’Italia, c’è tanta noia. Si ferma quasi (le categorie minori continuano a giocare) tutto, le voci assurde impazzano pur di riempire le pagine dei giornali e il week-end, per noi calciofili, è surreale. È però forse il momento migliore per qualche elucubrazione mentale, quelle analisi che forseportano a poco, ma che possono essere belle per sognare o per rivivere certi spezzoni del passato. In questa rubrica ho deciso di analizzare il secondo decennio degli anni duemila dell’Udinese, dove si è vista forse l’Udinese più bella della storia, ma forse anche una delle più brutte (in A), ma dove, soprattutto, è avvenuto il passaggio di testimone tra Giampaolo Pozzo e Gino Pozzo.
Non si può non partire dalla stagione 2010/2011, pietra miliare per la storia friulana. L’annata precedente era stata una tortura, l’avventura di Pasquale Marino, così come quella di diversi senatori, era giunta al termine e, come sempre in questi casi, la salvezza arrivò un po’ a fatica, con una piccola parentesi targata De Biasi e tanti tuoni in spogliatoio di Pozzo senior, quando aveva la forza ancora di tenere in mano le redini. Per ripartire il vecchio paròn fa una piccola tabula rasa. Confermato in blocco il reparto scouting, via al cambio di allenatore, con Francesco Guidolin che torna sulla panchina delle zebrette dopo circa dieci anni e una rottura con i piani alti evidentemente risolta grazie alla diplomazia. Via anche il DS Gasparin, al suo posto Larini, un’altra figura che non ha lasciato il segno ad Udine, ma che perlomeno non ha fatto danni. Via anche tutti quei titolari che non si sentivano più parte del progetto, ovvero Felipe, Lukovic, D’Agostino, Pepe e tanti altri, per lasciare spazio a forze fresche già in parte viste all’opera con Marino e in parte nuove (Benatia e Armero in particolare). È anche l'anno del grande rifiuto di Di Natale alla Juventus. Un nuovo corso dunque, per un paròn che, per gli ultimi anni della sua presidenza, vuole rivedere un’Udinese che faccia divertire.
Nel precampionato Guidolin in tempi brevi inizia ad accantonare il 4-3-3, fino a quel momento baluardo della squadra, per passare al 3-5-1-1, modulo al tempo praticamente sconosciuto in Italia e di cui l’Udinese, insieme in parte al Napoli, sarà pioniera. Il tecnico di Castelfranco ha già ben chiara qualche idea in testa. Sanchez è veramente “El Nino Maravilla” come si dice e va cresciuto in un certo modo, mentre Inler, già uno degli “esperti” della rosa, può dare l’equilibrio tra il centrocampo a cinque e la difesa a tre. L’unico innesto all’apparenza rilevante è quello di Candreva, che in molti sono curiosi di vedere all’opera. Il rapporto tra tecnico e giocatore non sboccia e l’ex Cesena viene spedito in prestito al Parma. C’è da ricordare anche l’arrivo del "Tanque" Denis, che sarà però oscurato da Totò, pur mettendo a segno alcune reti decisive.
L’avvio della nuova Udinese è un disastro. Quattro sconfitte di fila. Guidolin è già in discussione, anche se paròn Pozzo non lo mette mai sulla graticola. Due cambi risulteranno fondamentali. L’innesto di Benatia in difesa, il quale con Zapata e Domizzi andrà a formare un trio insuperabile, e quello di Armero sulla sinistra, un vero e proprio treno che sforna assist e copre come fosse sempre stato in Serie A. Appena gli elementi si amalgamano un po’, la squadra cresce e strappa il primo punto alla Sampdoria e poi trova la vittoria al Friuli contro il Cesena grazie a un gol allo scadere proprio del marocchino Benatia, inizialmente malvisto, dato che, dopo l’infortunio di Coda, tutti si sarebbero aspettati di vedere il giovane Angella titolare. Da lì in poi è una crescita continua, arrivano vittorie su vittorie, la coppia Di Natale-Sanchez inizia a macinare numeri impressionanti. Qualche intoppo qua e là tra novembre e dicembre, poi un filotto di ben tredici risultati utili consecutivi, tra cui c’è da annoverare l’incredibile 4-4 contro il Milan a San Siro (rossoneri che saranno campioni d’Italia) e lo storico 0-7 di Palermo, dove Di Natale segna una tripletta e AS7 diventa il primo bianconero a piazzare un poker in Serie A. Il livello è altissimo, Milan e Inter (campione d’Europa uscente) sono di un altro pianeta, ma la lotta per i posti Champions è serrata, con Udinese, Roma, Napoli e Lazio che corrono a velocità impensabili per le avversarie.
Purtroppo la pausa per le Nazionali spesso si è rivelata controproducente per l’Udinese e anche in questa annata l’intoppo arriva proprio in questa circostanza. Ad aprile dopo la pausa c’è il Lecce bisognoso di punti salvezza e i bianconeri vengono clamorosamente sconfitti, un duro colpo per le ambizioni di terzo posto, ma non per quelle relative al quarto (la Coppa Italia era già stata abbandonata agli ottavi, per concentrarsi sull’incredibile cavalcata). Una vittoria in cinque partite, la squadra psicologicamente sembra un po’ bloccata e i vari Asamoah, Isla, Inler, etc.. non riescono più a supportare a dovere la coppia Di Natale-Sanchez, che viaggiava (e arriverà) verso i 40 gol.
Si arriva alla terzultima giornata. Udinese-Lazio, sfida decisiva. Chi vince si prende il quarto posto e avrà il destino tra le proprie mani. In queste occasioni si vede il campione e ad Udine c’è n’è uno dal nome pesantissimo: Totò Di Natale. Il napoletano, grazie agli assist di Isla e Sanchez, in un tempo mette a segno una doppietta pesantissima. Tutto fatto? No perché Libor Kozak (una delle bestie nere dei friulani) riapre il match a metà secondo tempo e poi Angella (titolare al posto di Domizzi) concede un rigore che potrebbe rovinare tutto, ma qui entra in scena un altro dei campioni di quell’Udinese, ovvero Samir Handanovic, che ipnotizza Zarate e blocca l’ennesimo penalty (in quell’anno si guadagnerà la fama di pararigori). È festa grande. Contro il Chievo alla penultima arriva un facile 0-2 e contemporaneamente la Roma perde punti, uscendo dalla corsa Champions. Resta solo l’ultima giornata per festeggiare. Basterebbe un pareggio contro il Milan già campione d’Italia al Friuli e sarebbe Champions, a circa 6 anni di distanza dall’ultima volta, neanche tanti per una piazza “provinciale” come quella di Udine. La Lazio vince, l’Udinese pareggia in una partita dove Di Natale manca due volte l’appuntamento con il ventinovesimo centro (capocannoniere della Serie A per il secondo anno consecutivo) e Robinho manca a tu per tu con Handanovic l’aggancio alla sfera del possibile 0-1. Zebrette e Aquile sono appaiate a 66 punti, ma ad essere quarta è l’Udinese, in virtù di una miglior differenza reti. In parole povere: è preliminare di Champions League. Il Friuli esplode, in campo è festa, giocatori, staff tecnico e pure il paròn Pozzo ballano e festeggiano un risultato storico. È la nascita di un’Udinese che otterrà risultati straordinari… ma che forse, guardando il presente, potevano essere capitalizzati meglio.
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