Premessa: detesto il periodo del calciomercato. A meno che, ovviamente, non lo si prenda per quello che è. Cioè poco più di una sequela di sogni, bufale, voci, trattative impossibili, quelle che vanno a buon fine ma non ci piacciono tanto, quelle che ci piacerebbero tanto ma vanno a buon fine per un’altra squadra.

Premessa numero 2: hanno ragione (diciamo così) quelli che sostengono come le fonti d’informazione dovrebbero parlare solo di cose certe. Avrebbero ragione, anzi, se vivessimo negli anni ’80, in cui per sapere qualcosa di certo ci si doveva rivolgere ai giornali. I quali, per inciso, scrivono di cose avvenute quantomeno il giorno prima. L’avvento di internet ha reso le cose veloci anziché no, ed oggi mezz’ora di ritardo è sufficiente per rendere una notizia, una voce, un’informazione vecchia. Per cui si scrive, e molto.

Perché?

Perché il tifo si nutre di sogni, l’informatore deve nutrire i sognatori e sovente vengono messe fuori voci modestamente fondate, prima che sia troppo tardi, seppur spesso prive spesso di opportune verifiche e conferme.

Chi siamo noi per non nutrire i sogni di (presunta) gloria di chi ci legge?

Non è una presa in giro. Anche a me piacerebbero le squadre formate d’estate, in dieci giorni, con idee precise, senza perdere tempo in trattative basate, troppo spesso, sulla mutua convenienza economica prima che sull’effettiva necessità agonistica.

Ma non va così, amici miei. Non va così da tempo, e per diversi anni Udine vi si è accomodata con grande padronanza a quel tavolo ove appetenti esperti di mercato (stra)pagavano virgulti cresciuti all’ombra del glorioso arco.

Lo chiama(va)no ‘modello Udinese’; adesso altre squadre ne adottano di migliori e le scelte bianconere non sempre si rivelano azzeccate. Ed uso volutamente un innocuo eufemismo…

Lungo preambolo per dire che l’Udinese (dopo Okaka) è entrata nel mercato con un solo squill(in)o di tromba: a giugno DePaul va all’Inter. Dicessi che mi dispiace mentirei: amo Rodrigo quando sa essere geniale, cosa che accade sempre meno di frequente. Curioso che i nerazzurri giubilino l’incostante Perisic per prendersene un altro. Gli auguro suerte.

Il resto delle compravendite? Nulla, dai. Zeegelaar sarà bravo (?), da Bologna arriva un francese che regge le code (dalla panca) al 35enne brasiliano già capitano bianconero. Nulla, dai.

In compenso c’è il campionato: la Sampdoria a Marassi.

È vero: a me quei colori stanno poco simpatici. Non però a tal punto per non vedere che, quando si mettono di buzzo buono, praticano un calcio bellissimo. I doriani sono l’Udinese della fine degli anni 2010: Praet, Torreira, Skriniar quindici anni fa avrebbero vestito il bianconero; sette anni fa il giallonero, oggi il blucerchiato (o il nerazzurro atalantino). È storia.

Che poi, visti altrove, esattamente come quasi tutti i nostri i doriani non sono fenomeni: ieri sera ho guardato (sono in Galles) Arsenal-Manchester United di FA cup: Torreira brutalizzato da Shaw, Pogba e compagnia solskjaeriana. Punto.

A proposito: Lukaku lancia in profondità, il ‘sette’ mancuniano scarta il portiere Cech e da posizione impossibile centra la porta. Mi si è stretto il cuore. Stretto, stretto.

E mi sale la carogna: perché avrete ben ragione con i vostri vent’anni di serie A e debiti zero; ma passare da Totò e Niño a Lasagna e Okaka è troppo anche per un vecchio cuore bianchenero come me, pur nello sforzo di diventare atarassico.

Oggi quando a Genova saranno le 18:00 lavorerò; mi terrò aggiornato solo attraverso la diretta live di Tuttoudinese; e per l’ennesima volta da cinque anni mi aspetto nulla. Nulla. Venga quel che venga, tanto chi ci segue alla radio sa come la pensi. Con tutta probabilità la si sfangherà (e nulla di più) anche quest’anno.

Beh, una cosa c’è: spero segni Fabio Quagliarella. Per una serie di ragioni.

Primo, è un professionista serio, che si allena e non va sui giornali: a 36 anni quasi suonati pare non volere smettere di stupire (i numeri li ha sempre avuti), e forse si sarebbe meritato un palcoscenico più importante (non me ne vogliano i tifosi doriani). Certe volte nascere stabiese anziché a Curitiba fa la differenza più che le prestazioni sul campo. E noi ne sappiamo qualcosa.

Secondo, perché in quanto a dignità, serietà ed orgoglio Fabio potrebbe tenere corsi di laurea. Ho scritto delle vicissitudini di cui è stato vittima quando fu costretto a lasciare il Napoli; cose che tenne dentro di sé, piangendo di nascosto e soffrendo come un cane. Vestiva la maglia partenopea come una seconda pelle, gliela tolsero e sopportò gli insulti con dignità. Forse De Laurentiis gliela dovrebbe, questa seconda pelle, in fondo alla carriera.

Terzo, perché Quagliarella è uno di noi. Sarebbe tornato a Udine, città che considera quasi come casa sua, ma qualcuno tre anni fa ebbe a definirlo ‘nonno finito’.

Avessimo undici nonni finiti come lui, il quarto posto non sarebbe utopia.

Sezione: Primo Piano / Data: Sab 26 gennaio 2019 alle 12:51
Autore: Franco Canciani
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