Ai nostri microfoni, nel giorno del suo cinquantesimo compleanno, l'ex Udinese Valerio Bertotto ha parlato ai nostri microfoni per fare il punto della situazione in casa friulana dopo la sconfitta con il Bologna e l'annuincio di ritiro.
Ti è mai capitato di non vincere per dieci partite?
“Forse no, ma non ricordo a memoria le statistiche, magari è successo. Sono cambiate tante cose rispetto a quando giocavo io, sono cambiate tante persone e anche il calcio è cambiato sotto diversi aspetti. L’Udinese sotto diversi aspetti, da quando non ne faccio più parte, ha avuto un andamento che in proporzione non è collegabile alle prospettive che avevamo creato, dati alla mano si evince questo. E’ una società dalla storia importante, con una struttura all’avanguardia ed è chiaro che tutti quelli che amano l’Udinese pensavano che, potendo usufruire di un know how creato anche grazie a calciatori come me e alla struttura a disposizione, ci potessero essere risultati migliori nella storia recente”.
Un pensiero su Sottil:
“Un allenatore e un uomo che ha fatto un percorso di crescita, ha fatto la gavetta, si è formato, ha studiato, lottando anche con il poco nella gestione di varie situazioni. Il suo percorso lo ha portato ad avere meritatamente ciò che ha attualmente. Sono contento per lui, se lo è meritato”.
La gestione dei compagni, spesso si parla di bisogno di attaccarli al muro:
“Spesso non c’era bisogno di nulla di simile, magari capitava di dover riprendere qualcuno ma credo faccia parte del percorso in qualsiasi realtà, sia professionale che in famiglia. Quando si parla di cose serie e il mio lavoro all’epoca prevedeva anche questo mio ruolo in quanto amante profondo del mio lavoro volevo che le cose andassero sempre bene. Amore per questa maglia? Sottointeso questo, in 13 anni è normale, nonostante ci fossero opportunità anche di andare altrove perché ero riconosciuto come difensore di buon livello. Però la realtà friulana è ormai parte integrante della mia vita, ho speso tutto me stesso per lasciare un’impronta a chi giovane arrivava qua”.
Il calo mentale:
“Il pericolo è l’appagamento, quando subentra a livello mentale in un atleta perché inizia a essere un po’ più tranquillo e un po’ meno tignoso, un po’ meno voglioso di determinare qualcosa di più e di diverso, questo si tramuta spesso in una catastrofe, se non hai dal primo giorno fino all’ultimo minuto del campionato la stessa voglia di determinare te le cose e la voglia di spostare l’asticella entri in un circolo vizioso che diventa nocivo. Dev’esserci all’interno del gruppo squadra e di ogni calciatore questa voglia e questa determinazione. E’ una formae mentis che chi è un campione ce l’ha e la vuole ogni giorno alimentare, perché dev’essere parte integrante di uno sportivo professionista, se non ce l’hai te la devi far venir fuori, facendoti magari aiutare da qualcun altro”.
Le possibilità del passato da giocatore:
“C’era un contratto già firmato col Milan, negli anni di Zaccheroni. A ridosso degli anni 2000, quando ero in nazionale per poco o niente è saltata la trattativa con la Juventus”.
Il ritiro:
“In un momento di difficoltà ritrovarsi, parlarsi a quattrocchi, dirsi le cose anche magari con toni accesi per il bene comune allora diventa un momento per provare ad andare oltre le problematiche e risolverle. Sempre però con un obiettivo comune però, perché se iniziano a prevalere gli interessi individuali le cose possono farsi difficoltose”.
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