Nel calcio, si sa, vige una regola all’apparenza comica, ben rappresentata da una celebre scena de “L’allenatore nel pallone” di Lino Banfi. I giudizi variano a distanza di pochi giorni, in maniera netta e spesso radicale. Ma non è stupido: è il mondo del pallone che viaggia a velocità supersonica. Ogni domenica la classifica cambia, e una vittoria o una sconfitta possono essere decisive, tanto più in un campionato per la prima volta equilibrato come quest’anno. E poi diciamocelo, chi lavora nel calcio non guadagna mille euro al mese, non lavora otto ore al giorno. Spesso, quello che guadagna in un anno non basterebbe una vita intera di un povero cristo, per risparmiarlo. Quindi lasciamo perdere un inutile vittimismo. Semplicemente, sono le regole del gioco.
E’ ovvio però che se si vuole una programmazione reale, una società durevole e immune alle altalene dei risultati, allora è meglio pensare molto, analizzare fatti e dati, e non farsi prendere dallo sconforto o dall’emozione di un risultato. Prima della partita di domenica contro la Sampdoria avevo evidenziato come l’ipotesi di un esonero di Colantuono sarebbe stata quantomeno balzana, visto i 9 punti conquistati in 7 partite. L’Udinese aveva affrontato tre delle ultime quattro squadre (l’anno scorso erano finite tutte in sconfitta) totalizzando due vittorie e un pareggio. In più veniva dalla confortante trasferta di Napoli (una sconfitta che, per il lavoro di squadra, valeva una mezza vittoria).
Colantuono non è un leone oggi, e non era un c…. ieri. Semplicemente ha portato a Udine un lavoro professionale, spesso sottovalutato, anche dall’ambiente. E’ stato poco difeso dalla società, quanto meno all’esterno. Se poi internamente la fiducia ci sia sempre stata, a noi non è dato saperlo. Di sicuro si evidenzia un difetto di comunicazione verso l’esterno. La vittoria sulla Sampdoria non nasconde i problemi della fase offensiva, anzi... Thereau è un anarchico, affascinante in quanto francese, non proprio romantico all’aspetto. Il gioco là davanti dipende dalla giornata di vena di questo giocatore che mal digerisce i movimenti tipici di squadra, altrimenti l’Udinese avrebbe un campione in più nelle sue file. Aguirre in due partite circa ha totalizzato un assist (a Roma) e un cross che vale altrettanto, domenica, ma ancora nessun gol.
Ed ecco che giungiamo all’altro attore di questo editoriale, Antonio Di Natale in arte il Capitano. Fino a poco tempo fa il Salvatore della Patria, oggi pare dividere la tifoseria. E’ ripetuta da più parti la notizia di qualche dissapore con l’allenatore. Pare non sia felice del poco impiego. Così, tanto salgono le quotazioni da eroe di Colantuono, tanto pare diventare c… il capitano, destinato ad Empoli già a gennaio, secondo i rumors. Ma noi analizziamo la situazione con un giudizio “longitudinale”, che vada oltre l’emozione del momento. Senza i gol di Totò, l’Udinese sarebbe retrocesso in Serie B nel 2010 (Marino De Biasi Marino). Non avremmo mai goduto, l’anno successivo, delle magie del trio di Guidolin-Sanchez-Di Natale. E sempre senza Totò, l’Udinese ora affronterebbe il Lanciano, il Trapani e il Como (non me ne vogliano...), perché l’anno scorso ha salvato baracca e burattini nel girone di ritorno (assieme a un certo Pinzi).
Un anno è passato, il calo fisico c’è stato, ma siamo sicuri che Di Natale non sia il bomber di cui questa Udinese ha bisogno? Perché il problema sembra essere più che altro di motivazione, di voglia a correre e sacrificarsi in movimenti tipici d’attacco. Un po’ lo stesso male di Thereau. Un buon Direttore Sportivo, o un buon Presidente, non so a chi sia demandato il compito di redimere queste questioni, prenderebbe intorno a un tavolo allenatore e giocatore. Li farebbe parlare, esprimere le loro posizioni. Ovviamente, è l’allenatore che deve gestire la squadra, ma sanare una frattura fra Di Natale e l’Udinese non dovrebbe essere molto difficile. Altrimenti la squadra friulana rischierebbe di perdere la soluzione principale ai suoi problemi d’attacco. Sperando che a Udine, come era tradizione fino a pochi anni fa, si faccia ancora (o di nuovo) dell’organizzazione e della programmazione il fiore all’occhiello.
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