Adesso il destino friulano è tutto nelle mani di Tudor e dei suoi. Se nelle prossime tre, non impossibili gare si faranno i quattro, cinque punti che auspichiamo (magari anche sei…) la salvezza sarà sicura.

Il calendario dice Frosinone, S.P.A.L. in casa e chiusura alla Sardinia Arena; l’Empoli, a sua volta, scavalcato il derby che si gioca fra qualche ora, avrà Sampdoria, Torino finendo in casa dell’Inter.

Internazionale che ieri sera ha sbattuto contro il resiliente muro dei tudoriani. I giocatori dell’Udinese si sono applicati con dedizione, ed al netto dei primi venti minuti in cui ha sofferto il palleggio dei nerazzurri, ha patito modestamente le folate dei giocatori di Spalletti, i quali hanno fondalmentalmente cercato di segnare in mischia quasi fossero rugbisti.

Alcune note sparse mi dànno la cifra morale e tecnica della gara friulana.

L’allenatore nerazzurro, il cui ricordo a Udine è ancora vivo (legato più alle bizze per liberarsi dal contratto che alle prestazioni della sua squadra di allora) e ricordato all’inizio dalla Curva Nord, è parso nervosissimo durante la gara; trincerandosi dietro ad un presunto equilibrio per giustificare la mancata disposizione a due punte vere sin dall’inizio, adducendo a giustificazione la maggiore pericolosità friulana dopo l’ingresso di Icardi (legata invece al preventivo inserimento di Okaka, secondo me) arriva in sala stampa e se ne va dopo venti secondi netti. Lui, uno che non ha fra le particolari doti il dono della sintesi.

Ho ascoltato i colleghi televisivi milanesi, con alcuni dei quali mi lega lunga e stretta amicizia, i quali si attaccano alla fallosità friulana e allo scandaloso (sic!) rigore non concesso all’Inter dal ‘nemico’ Rocchi. Snocciolando, di seguito, la serie di torti arbitrali subìti dalla Beneamata durante la stagione.

Li abbraccio perché attaccarli, per me, equivarrebbe (traslitterazione dal friulano) a picchiare un uomo nell’atto dell’evacuazione; resisto a citare, colgo fior da fiore, quello di cui invece ieri hanno beneficiato.

Anzi no. apro anch’io il cahier de doléances.

Lascio stare il numero, infinito, di falli ‘mezzo e mezzo’ giudicati dal fiorentino sempre alla stessa maniera: una squadra costa 300 milioni, l’altra 50, le pressioni sono differenti e lui lo sa. Ci sta.

Sul rigore di De Maio contro Mauro Nara non mi pronuncio (di certo non è, come dice un ex cantante anni ’80 divenuto interologo, un intervento teso a rompere il tendine d’Achille all’argentino) perché lo voglio rivedere bene alla moviola; lascio anche stare la spinta di Brozovic su Mandragora, la quale è talmente evidente che un arbitro normale avrebbe, se non il ‘penàl’, sanzionato l’ostruzione con un calcio di punizione indiretto. A meno che, come dice il direttore di Telelombardia, questo sia ‘un rigore al 50, 55%’ per cui adottiamo la legge-soglia per sanzionare le irregolarità in area.

Lascio stare tutto.

Non posso però lasciar correre l’intervento di D’Ambrosio su Sandro: era rosso, e non si discute. L’abbiamo visto live, allo stadio, non mi serve la moviola né sarebbe dovuta essere necessaria la collaborazione-VAR, tra l’atro mai arrivata (Doveri riposava, evidentemente). Seguo sempre i colleghi meneghini, i quali stabiliscono come a) l’interista tocchi prima la palla – rispondo che questa non è discriminante per un intervento pericolosissimo, questo sì caro cantante!, con piede a martello a 15 centimetri dal pelo d’erba. b) D’Ambrosio chiede scusa, per cui il giallo è sufficiente – allora la gravità dell’intervento è mitigato dalla galanteria. Adottiamo anche nel calcio le attenuanti generiche, prendo atto.

Troppe parole per dire che a Milano schiumano rabbia per tre punti che parevano dote già acquisita davanti alle solite schiere di veneto-friulan-interisti sciamati al Friuli nella speranza di poter urlare la gioia alle reti di Perisic, Lautaro, Brozovic e, magari, poter sfottere il collega di lavoro, inauditamente più legato ai colori del territorio.

Troppe parole per dire che il pari è giusto, che dei nerazzurri salvo solo Handanovic perché uomo vero, e Radja che ieri ha tenuto su la squadra da solo. Il resto è, come nel caso di tanti bianconeri, gente di passaggio.

Tudor, che parte dalla rosa che ha e deve rinunciare in corsa a due difensori centrali ed a Fofana, vince nettamente il confronto con il blasonato collega perché legge meglio la gara; inserisce prima Okaka (costringendo i centrali interisti a stare belli bassi invece di impostare alti la manovra), poi l’idolo islandese che tiene benissimo il centrocampo: da quando Emil sostituisce Sandro dal centro non passano più palloni e l’Inter, già schiava di mille cross (tutti respinti dai positivi Bram e De Maio), è costretta a girare al largo.

Musso? Per me una certezza e non una sorpresa. Qualcuno dice che si è rifatto degli errori contro la Lazio; io rispondo di guardarsi le gare disputate da Juan dopo il rigore causato a Marassi per comprendere come, tolti i propri pregiudizi, siamo di fronte al nuovo ‘arquero’ della nazionale argentina.

Un punto che fornisce il match-point all’Udinese: ci si prenda questa salvezza (ribadiamo) senza molta gloria, e si programmi. Lo ripeto, si programmi.

Partendo da punti fissi, quelli che come un mantra ripetiamo da settimane.

Bravo Tudor. E questa vota, bravi ragazzi. Adesso a Frosinone per vincere.

Sezione: Editoriale / Data: Dom 05 maggio 2019 alle 12:24
Autore: Franco Canciani
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