La partita persa contro la Roma è il degno epilogo delle ultime due stagioni. Da una parte una rosa con notevoli potenzialità inespresse, dall’altra risultati senza continuità di rendimento ed errori imbarazzanti che sprecano quanto profuso in campo.
Stramaccioni adotta una tattica umile e saggia: quando tira tempesta, meglio coprirsi. Dopo aver concesso il lato sinistro alla Sampdoria con un centrocampo mal costruito, ecco che il 442 iniziale crea densità in fase difensiva e la Roma di questi tempi fa molta fatica a saltare l’uomo nello stretto e creare occasioni. L’Udinese passa in vantaggio su un errore di vanità della difesa giallorossa e poi cerca, con le unghie e con i denti, di difendere il vantaggio fino allo scadere della prima frazione di gara.
Ma dall’altra parte Garcia, bravissimo allenatore e autentico parafulmine di un mercato invernale sbagliato, dimostra di conoscere il calcio. Tipico movimento degli uomini d’attacco verso la fascia per far scalare la difesa avversaria e aggirarla con un centrocampista che si inserisce. Ergo, l’Udinese lascia il secondo palo sguarnito, Guilherme non segue Naingolan e la Roma pareggia.
Il secondo tempo fa notare una regressione di squadra. Con Hertaux che sbaglia come era solito fare al suo arrivo, due anni or sono; con Allan che sciupa a più riprese contropiedi importanti; con Widmer che non sa difendere bene come sa attaccare. I cambi non aiutano, la squadra si scompone e si arrende, le motivazioni finiscono.
I numeri finali certificano il merito della Roma sull’Udinese. Ma la partita tutta è emblematica: vorrei ma non posso, potrebbe essere il leit motiv delle ultime stagioni. A nulla è valso un mercato estivo ben gestito dalla società, che aveva portato a Udine giocatori con esperienza e qualche anno di più rispetto alla media degli acquisti soliti. L’incostanza nei risultati, e la mediocrità in classifica che ne deriva, è dovuta a prestazioni con una forte varianza motivazionale. Dalla bellissima partita contro la Juventus alle sciagurate trasferte di Parma e Cesena. Tutto questo è la squadra che non ha mai mostrato un’anima matura e un gioco solido, ma più che altro sprazzi di carattere e qualche buon approcio tattico conditi da giocate isolate di giocatori dalle grandi capacità (Karnezis, Danilo, Di Natale e Thereau su tutti).
E difatti, l’Udinese attuale ha un punto in meno di quella di Guidolin dell’anno scorso, in un campionato però molto meno equilibrato nella parte bassa della classifica. L’attesa rinascita con il cambiamento di panchina non è avvenuta, anzi.
Ed ora la famiglia Pozzo si trova nel limbo: meglio prediligere il mercato inglese e spostare il core business a Londra, o puntare ancora su investimenti tecnici in terra friulana? Non necessariamente una scelta esclude l’altra. L’importante è l’equilibrio del gruppo, i ricavi totali e la sostenibilità dell’azione. Le leggi imprenditoriali (quelle della buona impresa che i Pozzo conoscono bene) possono portare a sinergie interessanti. Ma bisogna ritrovare organizzazione, competenza e disciplina. E magari, ricreare uno zoccolo duro di italiani: da Angella a Faraoni, da Scuffet a Verre.
Un progetto non lo si crea dal nulla, in una sessione di mercato; ma il ritardo inizia a essere preoccupante, specialmente se il prossimo anno Di Natale, autentico faro e salvagente della squadra bianconera, lascerà l’Udinese.
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