Il “modello Udinese”, o meglio il “modello Pozzo” è sulla bocca di molti esperti di settore, non solo italiani. Già nel campionato 2010-2011, annata dell’esplosione di Sanchez, il blog Swiss Ramble, che analizza le prestazioni dei maggiori club europei dal punto di vista economico e manageriale, aveva dedicato un’intera puntata ai bianconeri friulani. Tra i tifosi di altre squadre, con un misto di stizza e di malcelata invidia, si sottolinea soprattutto il business che i Pozzo metterebbero al primo posto (ricordate lo striscione nei confronti di Cavani a Napoli qualche giorno fa? “Napoli non è l’Udinese”).

D’altro canto, una chiave importante del ritorno economico per l’Udinese non è rappresentata solo dall’abilità nel creare plusvalenze o dall’enorme sforzo in termini di scouting – tenete d’occhio i vari Belkalem, Widmer, Fernandes prossimamente in scena al “Friuli”. Che cos’è che ha fatto diventare i vari Handanovic, Sanchez, Asamoah, Benatia & co. tra i giocatori più ambiti  dalle cosiddette “grandi”? Le prestazioni sportive. È lì il segreto: prendere un materiale prezioso ma ancora grezzo e, tra il lavoro psico-fisico guidato da uno staff all-round, che cura la preparazione fisico-tecnica fino all’alimentazione, all’apprendimento della lingua e agli aspetti psicologici, e la maestria tattica e calcistica di Guidolin, farne uscire un diamante degno delle migliori piazze europee.

Business che nasce dallo sviluppo sportivo dunque. Ma non solo. Il contesto di Udien fa pure il suo: non solo la tranquillità di una cittadina di provincia, non solo un tifo appassionato e radicato nella terra friulana, certo critico e esigente eppure mai sopra le righe, ma anche tutta la cultura del lavoro applicata al giocatore, fanno sì che l’Udinese sia oggi veramente una delle grandi del campionato. E il quinto posto nella classifica degli ultimi 10 anni in serie A sta lì a dimostrarlo. Chissà cosa succederà in futuro col nuovo stadio…

Sezione: Editoriale / Data: Dom 30 giugno 2013 alle 15:50
Autore: Roberto Piani
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