L’autunno che arriva, lentamente, giocando a nascondino, si porta con sé la malinconia che pare avvolgere i tifosi friulani come una coperta. Una coperta pesante e corta. Pesante, perché la società sta agendo senza riguardo per i sentimenti di chi segue l’Udinese; corta perché ad ogni buona notizia se ne contrappone una negativa, tanta da far passare in secondo piano la storica vittoria allo Juventus Stadium.

Non bastava la strampalata idea di cambiare nome allo stadio, per soldi, of course. E’ fresca la notizia, ed è ancora aperta la ferita, della cessione di Pinzi al Chievo. Il tutto poi si aggiunge ad un’intervista del Paron Pozzo nella quale ha chiarito per la prima volta in maniera netta che la guida dell’Udinese ora è in mano ai figli. Se è assicurata la gestione secondo politiche aziendali (ricordiamolo bene, la base delle fortune della squadra bianconera), pare che il rispetto per i colori della maglia e del comune sentire vengano meno. Se è inutile farsi prendere da sentimentalismi, è deleterio far finta che nel calcio i sentimenti non contino.

STADIO – Pozzo interviene e parla di quella assemblea storica del Comune di Udine che decise il nome Friuli per lo stadio che tante gioie e (meno) dolori ci ha dato negli ultimi 40 anni (quasi…). Non si fa menzione del terremoto. Immagino sia vero, difficile però credere che nella mente e nel cuore di chi prese la decisione, a soli due anni dalla tragedia, non fosse chiaro che quel nome simboleggiasse lo spirito di rivalsa che rese Udine un caso più unico che raro. Inoltre, mi viene da pensare che il Natale altro non era che una festa pagana del ritorno della luce sull’oscurità. Fu poi il sentire cristiano a identificare la festa pagana con la nascita del Cristo. Un po’ come la leggenda della volta sopra la tribuna, bellissima, sempre moderna, che parrebbe significare proteggere la gente friulana e il Friuli dal cielo e le sue ire. E’ tanto difficile da capire che non si può lucrare su certe cose? Se è triste che non lo capiscano all’Udinese, è addirittura drammatico che non lo capiscano i politici. Ma lì non voglio entrare, la hanno resa la solita querelle acchiappa-voti (o soldi…).

PINZI – Se ne va una bandiera. Prima o poi sarebbe capitato. In pochi hanno chiuso la carriera a Udine. Probabilmente capiterà anche a Domizzi e non è escluso che capiti a Di Natale. Di Pinzi i ricordi sono tanti, è il classico figliol prodigo che dopo aver vinto (con Spalletti) ed essere stato esiliato in quel di Verona, sponda Chievo, è tornato alla mensa del padre (Guidolin). Quando gli hanno chiesto il miglior ricordo lui non sapeva quale trovare. Ne ho uno io… è facile ricordare le vittorie, ma io invece ricordo l’ultimo anno, il girone di ritorno con una squadra allo sbando e una guida tecnica in panne. Se non fosse stato per questo gladiatore e il suo valore in campo, forse avremmo davvero rischiato il patatrac. Così come per Poggi, anche a Pinzi non è stato concesso salutare la tifoseria. Nell’ultima partita si è seduto in panchina per far posto a un imberbe Merkel. Facile dire che ha deciso lui di andarsene, ma forse una spintarella gliela hanno data… Questo è anche il primo errore di Colantuono, un errore che gli è stato perdonato sul momento, visto che l’Udinese anche se non vince, convince. Ma sempre di un errore si stratta.

ITALIANI & FRIULANI – e così, partito Pinzi, allontanato per un pò Scuffet, a Udine rimangono più che altro stranieri. Spesso, le fortune passate sono coincise con uno zoccolo duro di italiani nello spogliatoio. Lo disse quel Guidolin che è stato accantonato in un modo che non ha molto a che vedere con la riconoscenza per quanto fatto (anche a livello economico) per la società. Il ricambio generazionale non c'è, ormai da anni, dissipato spesso e volentieri fra mancati arrivi ed ora partenze illustri. Ancora qualche anno e per parlare di bandiere, di giocatori che hanno scelto di rimanere a Udine, bisognerà iniziare la frase con "C'era una volta..."

SENTIMENTI - Ovviamente l'affetto langue. Il rischio è quello di vedere lo Stadio Friuli come una Chiesa vuota. Bella, quello sì, ma vuota. Il figlio, Gino, deve imparare molto ancora di come ci si comporta con la tifoseria. A lui vanno le lodi per il buon mercato in entrata, a lui vanno gli oneri della gestione attuale dell’Udinese. Se lo stadio è vuoto (15.000 spettatori alla prima), c’è un perché. Una società di calcio è un’azienda particolare. La proprietà economica è di un soggetto, ma quella emotiva è di tutti i tifosi. Non ci si può muovere senza ricordarlo, facendo finta di niente. Certo, le vittorie che presumibilmente arriveranno aiuteranno a scordare queste gaffe (eufemistico), ma l’avidità (ben diversa dalla ricerca dell'utile) è sempre stata orfana dello stile. Non si sposa bene con l’addio di una bandiera senza poter salutare il proprio pubblico nello stadio nuovo e con la svendita di un nome e della storia che gli è attaccata addosso come una maglietta sudata, come quella maglietta sudata che i tifosi chiedono ai giocatori ed alla società.

Sezione: Editoriale / Data: Ven 04 settembre 2015 alle 12:00
Autore: Giacomo Treppo
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