Ospite del podcast realizzato in collaborazione tra l'Udinese e Banca 360, Paolo Poggi ha ripercorso la sua carriera. Queste le sue parole: "Non riesco a staccarmi dall'Udinese, è come una calamita, so che qua sono ben voluto. Questa è stata una stagione discretamente positiva ed è ancora più piacevole venire qua rispetto magari alla passata stagione. Ora mi occupo di una scuola calcio. Tutti quelli che le gestiscono lo fanno principalmente per passione e attività sociale, non lo si fa per scoprire talenti, non c'è bisogno delle scuole calcio per scoprirli. Mi fa piacere lavorare con i bambini, educarli, insegnarli che nel calcio c'è tanto altro rispetto alle cose brutte che si vedono in tv".
Come sono cambiati i ragazzi:
"I ragazzi sono cambiati, a qualunque età, hanno meno attenzione e forse è anche un po' colpa nostra, a volte non li sappiamo ascoltare e vogliamo solo dirgli che per noi da giovani era più bello. I ragazzi sono un po' di più di come li vediamo adesso e spesso non li sappiamo ascoltare abbastanza, la mancanza di attenzione però è dovuta anche a tante altre piccole cose che noi non avevamo. Bisogna adattarsi a quelli che sono i bambini di oggi, sta a noi accogliere quello che stanno vivendo e aiutarli. Bisogna parlare un po' meno ma essere più da esempio".
Tre anni chiave per la tua vita sportiva?
"Torno al 1987, quando c'è stata la fusione tra le società di Venezia e Mestre. Ha segnato la mia vita, avevo sedici anni, non sognavo ancora di fare il calciatore. Quella fusione tra due realtà in contrapposizione totale è stato il primo evento che mi ha lasciato qualcosa. Il 1992, quando dal Venezia sono passato al Torino uscendo per la prima volta di casa, coincideva anche con il militare, un distacco pesante ma che è servito in maniera assoluta a farmi maturare. Poi il 2009, quando ho smesso di giocare, cominciava un'altra fase della mia vita. E' stata tosta, una scelta maturata con i tempi corretti. Quando non giochi più non vivi l'adrenalina che vivevi da calciatore, devi quindi trovarla altrove. Ho cercato di apprezzare il tempo libero, stando di più con i miei figli e trovando il mio ambiente nelle scuole calcio".
La squadra che ti ha lasciato di più in carriera?
"Non c'è partita, è vero che sono di Venezia, ho cominciato lì, ci ho giocato 9 anni, però i 6 anni a Udine sono coincisi con un momento cruciale della mia vita. Sono arrivato ragazzo e sono andato via uomo, ho vissuto emozioni indimenticabili. Abbiamo poi sempre vissuto i club di tifosi, non solo io ma anche i miei compagni di squadra, la vivevamo come una giornata piacevole da passare con i tifosi, la vita dell'Udinese per i tifosi è imprescindibile, è una famiglia nella famiglia".
Come mai la gara con l'Ajax è rimasta così tanto nella memoria anche più di tante altre gare molto importanti giocate più di recente?
"Non saprei, però è così anche per me. Credo ci siano due cose importanti. Era la prima vera partita importante giocata a Udine, avevamo passato il turno precedente con una squadra polacca ma meno blasonata. Poi era la gara di ritorno, già nei giorni prima c'era stata una trasferta di massa ad Amsterdam in uno dei pochi stadi moderni dell'epoca. Poi c'è stata l'attesa di 15 giorni che è stata per tutti micidiale. Infine non abbiamo passato il turno, quindi è un qualcosa di sospeso, fossimo passati noi non sarebbe rimasta così tanto nella mente di tutti".
Inevitabile ricordare il trio con Amoroso e Bierhoff, in quella squadra con chi hai legato di più?
"Quello con cui ho legato di più a Udine era Valerio Bertotto, con lui eravamo in simbiosi fino a quando non sono andato via. Ancora adesso sento tutti i giocatori di quella squadra. Bierhoff e Amoroso erano compagni di reparto perfetti, due persone con valori, speciali, però in quella squadra c'erano in tutti valori superiori alla media".
Cosa ti è rimasto di Udine?
"All'epoca, dato che non la vivo ora allo stesso modo, sicuramente la gente. Ero ragazzino, quella che sarebbe diventata mia moglie era ragazzina, quando siamo arrivati qua eravamo piccoli e la gente di qua ci ha aiutato a crescere. Noi avevamo sempre inviti a mangiare fuori, per le serate avevamo scelta. Infatti non capisco quando si dice che i friulani sono freddi".
La famosa ricerca delle figurine di Poggi e Volpi:
"Quella è una cosa che a me ha fatto gioco, c'è gente che mi ricorda più per quello. Mi fermano almeno una volta ogni due settimane per questa storia. Se ho quella figurina? No, assolutamente, non sapevo nemmeno di questa storia fino a un servizio di Mi Manda Rai 3. So che qualcuno l'album l'ha completato. Era solo tiratura misera. Io non le ho mai viste".
Il record del gol più veloce battuto da Leao:
"Quando Leao ha battuto quel record stavo lavorando per il Venezia, durante un allenamento sono venuti a dirmi che il record era stato battuto. Mi sono dato così risposta al perchè mi stavano arrivando messaggi in continuazione sul telefono. Per me non era una cosa a cui pensavo particolarmente, erano passati 19 anni. Mi chiesero cosa provavo e risposi 'finalmente', era un problema se dopo 19 anni ancora non si riusciva a battere quel record. C'è però una differenza tra i due gol, io segnai dopo otto secondi con palla agli avversari, Leao segnò dopo 6 secondi ma con palla al Milan. Con palla agli avversari il record sarebbe stato battuto lealmente (ride ndr)".
Cosa diresti al Paolo Poggi di vent'anni fa?
"Gli direi bravo. Forse si dovrebbe godere di più dei momenti che ha vissuto, la carriera del calciatore è molto breve e ogni giocatore deve valorizzare il momento che vive. Il giocatore è un privilegiato, ha ricevuto dal Signore la possibilità di giocare a calcio, di emozionare le persone e di far della propria passione un lavoro".
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