Un caro amico fiorentino mi ha rimproverato, bonariamente, per aver scordato la lezione kantiana; sono, infatti, ancora dibattuto fra quello che dice la testa e cosa risponda il cuore.
Parlo, ovviamente, del secondo inizio dei campionati del nostro amatissimo pallone; argomento di cui anche chi dovrebbe lanciare le famose ‘linee guida’ mostra di capirne meno di me.
A onor del vero, oggi gli stessi luminari che puntano un vindice indice contro chi non indossa correttamente la mascherina, solo un mese e mezzo fa ridevano di chi la portava; era un’influenza banale, oggi si ammonisce ‘il virus è lì fuori e vi aspetta’. Ma va?
Calcio, dicevamo. Non riesco, e lo ammetto, a prendere una posizione netta: ho argomenti che mi dicono che sarebbe meglio piantarla, ed è il cuore di un ragazzino che urla; ho argomenti (economici) che invece, da quel po’ di cervello che mi rimane, spingono a ricominciare: il pallone come la vita, una fenice ex-pandemica che spicca il volo sul prato verde dei nostri campi, di fronte a spalti tristemente vuoti.
E a sparigliarmi le carte ci si mette Giampaolo Pozzo, che tuona contro il pericolo di una ripresa troppo avventata: sono d’accordo quando dice che quattro settimane di allenamento ci vogliono, e spero il ‘countdown’ scatti molto presto dato che il famoso (famigerato?) ‘comitato tecnico-scientifico’ ha approvato l’ennesima edizione dell’altrettanto famigerato protocollo sottoposto dagli scienziati della FIGC.
Meno ragione ha, il ‘Paròn’, quando lascia andare il braccio e si lancia in invettive sulle gare giocate a marzo (non si aveva affatto contezza della pericolosità della situazione), soprattutto parlando di ‘trecento morti’: la conta è decisamente e fortunatamente inferiore, rimangono tantissimi ma forse la metà. La contabilità dei decessi, ore diciotto di ogni santo giorno, è una delle cose più agghiaccianti e macabre che ricorderò di questo periodo di cattività; lo invito a non lanciare numeri quando non siano che un’iperbole. Curva che oggi, assieme alla parabola del contagio lascerei volentieri bassa bassa.
Sappiamo che qualcuno ha fatto il furbo: potrei dire ‘uno a caso’, ma non ho le prove per cui sto ai ‘si dice’ (molto ben informati, per quello che so) e stigmatizzo la violazione delle regole in senso assolutamente lato. Sappiamo anche che l’apposito Ministro, il quale all’atto della nomina forse prevedeva di presenziare alla finale di Coppa Italia, alla finale scudetto di pallavolo, magari un giro per l’Italia a tagliare qualche nastro inaugurale, non brilla per coraggio: ‘aspettiamo’ è la sua parola d’ordine.
Oggi però non si può più attendere: una concatenazione di eventi calcistici e sportivi in genere si srotolerà dalla ripresa all’autunno 2021, ed iniziare in tempo utile la fine di questo torneo è necessario. Il 28 maggio le parti in causa daranno una risposta, si spera, definitiva: mi santommasizzo e parafraso, dicendomi ‘finché non leggo il comunicato non ci credo’.
Perché? Perché il primo ministro alla sera sostiene una tesi (si ricomincia con gli allenamenti di gruppo) che il giorno dopo colui il quale egli ha preposto al dicastero sportivo, dai prestigiosi microfoni di tuttonapoli.net, smentisce chiamando ‘fenomeni’ quelli che vorrebbero ripartire senza il consenso del CiTiEsse (io tendenzialmente sarei un fenomeno, almeno al 50%); perché Malagò (Presidente CONI) ostentava sicurezza, oggi sicumera, domani non lo so; perché tutte (tutte) le dichiarazioni delle parti in causa sono tese, ufficialmente, alla sicurezza di giocatori e staff, ma nascondono invece (ed è chiarissimo) piccoli o grandi interessi di bottega.
Le televisioni? Vogliono risparmiare qualche svanzica, abbassando o annullando l’ultima rata. Le squadre? Serio il rischio di libri in tribunale in mancanza dell’afflusso di tali bonifici; le autorità preferirebbero evitare la ripresa, mettendosi al riparo da ogni rischio di contagi (remotissimi peraltro), preferendo mettere a ‘libro paga’ dell’erogatore di Casse Integrazioni lo 0,45% dei lavoratori attivi italiani. Cifra non irrisoria.
Sportivamente? Detto che per me (e l’ho scritto mille volte) il campionato si è agonisticamente spento alla rete di Palacio allo scadere della gara di Bologna (Udinese-Fiorentina è stata un’esibizione penosissima voluta da chi non ha avuto il coraggio, e lì le cose si sapevano, di spegnere tutto), chi ha qualcosa da guadagnare vuole giocare a tutti i costi; chi, come l’Udinese, rischia tantissimo (secondo me) di lottare fino all’ultimo preferirebbe la serie A a novanta squadre e una stagione in corso spenta lì. Attenzione: certe cose vengono dall’inconscio, non sto dicendo che Pozzo o Marino parlino in malafede. Anch’io mi comporterei nella stessa identica maniera.
È ovvio; ovvio che la Juve preferirebbe rinunziare all’ennesimo scudetto per preparare la Champions di agosto nel migliore dei modi; ovvio che chi stava retrocedendo aneli a riprendersi una serie A che, prima della pandemia, pareva lontanissima; ovvio che per me cantare di un’eventuale (probabilissima a questo punto) ripartenza a fine giugno sarà difficilissimo.
Quello che a gran voce chiedo alle parti in causa, a coloro i quali dovranno decidere, è di farlo; di decidere, di smetterla con richieste inaccettabili di sicurezza, di permettere a ragazzoni ben allenati ed in piena salute, che acconsentiranno a farsi testare di continuo, di svolgere il proprio lavoro.
Ci sarà, di certo, qualche giocatore che avrà paura: detto che secondo me i timori sono infondati, a questi dovrebbe essere permesso di non scendere in campo. Previa, ovviamente, sottoscrizione della rinunzia a quanto non ancora incassato del proprio ingaggio. Da devolvere, magari, alla ricerca. E non necessariamente sul CoVid19: le altre malattie purtroppo hanno continuato a mietere le proprie vittime.
Decidetevi; permettetemi di decidere se dare retta a Kant, o lasciarmi andare tra le braccia di un metaforico Donato Cavallo: stessa passione, meno ‘viulenza’.
Passione. La nostra. Verso uno sport e due colori che proprio non riusciamo a toglierci dalla testa.
E dal cuore.
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