Da ormai trentadue anni di questi tempi è proverbiale il grande Riccardo Garrone, alias “avvocato” Covelli: in “Vacanze di Natale”, cult-anni-ottanta, l’ex capomastro arricchito, laconico ed annoiato da quanto gli ruotava attorno il giorno di Natale, richiestogli un pensiero pontificava “e anche questo Natale... Se ‘o semo levati dalle...”.
Cito casa Covelli e penso all’anno passato bianchenero, su cui nemmeno vorrei tornare almeno per dieci suoi dodicesimi: quattro allenatori, troppi giocatori comportatisi da ciabattanti ma il lieto fine, sulle note di “Maracaibo” di Lu(isa) Colombo e la faccia di Jerry Calà che diventa quella friulanissima di Gigi l’Aquileiense, conducatore delle cose bianche e nere forse tardivo, ma in tempo per salvare una stagione che pareva compromessa già dopo neanche dieci gare; soprattutto per togliere dalla panca giocatori come Fofana e dal tavolino al bar di Montmartre Cirillo Théréau, il quale fino a quel momento sorseggiava pernod sorridendo alle caricature di Mahonet su “Le Canard enchainé” ed oggi è uno degli stoccatori più mortiferi della massima serie.
Cos’ha dovuto fare Delneri per riportare sulla terra una squadra che squadra non era, impegnata a dare il peggio di sé? Semplice: allenarla. Quando questo verbo significa non solamente tenere conferenze mediamente comprensibili sulla tattica, né solo scegliere gli undici titolari domenicali. Anche: ma a fianco a questo Luigi ha riportato all’interno dello spogliatoio il dialogo, il concetto di gruppo, una certa durezza, a volte, nel sottolineare mancanze individuali. Ma nessuno sinora si è permesso di sindacare i metodi del bravo trainer friulano: non i dirigenti, che capiscono (ad iniziare dalla proprietà per terminare con il serio e preparato Nereo Bonato) di avere in Delneri un partner umano, tecnico e tattico quasi impareggiabile; non i giocatori, che anche se esclusi non fanno polemica dopo aver ascoltato dall’Aquileiense le motivazioni; tantomeno i tifosi, felici di poter accogliere un friulanòfono fra loro, e dopo la partenza di Guidolin di riavere “uno di loro” a guidare la squadra che fa battere i loro (nostri) cuori. Ma chi non si allinea, chi ritiene un prestito in cadetteria lesivo del proprio presunto talento, non viene più tutelato come un panda ma spedito, se serve, in una franchigia estera. Si mostri colà, se ritiene.
La salvezza non è in discussione: le ultime prestazioni, la distanza dalla terz’ultima e soprattutto la pochezza delle teoriche competitrici toglie decisamente i bianchineri dalla lotta. Le posizioni europee, però, sono irraggiungibili: cinque posti per le otto pretendenti che, ad oggi, paiono più attrezzate dell’Udinese per contendersi un posto al sole (della Champions) o quantomeno fuori dall’ombra (nell’Europa League). Quindi?
Quindi sognare è gratis, meglio farlo in grande ad iniziare da domenica, quando all’ora di frico e salame coll’aceto arriva l’Internazionale di mister Pioli. Formazione schizofrenica che gioca male, rischia tanto ed ultimamente mette in cascina più di quanto meriti, l’Ambrosiana è oggi immersa in un ambiente che mette già in preventivo tre punti facili, sulla scorta di quanto accaduto l’anno passato e del blasone meneghino, superiore a quello friulano (anche se ultimamente oscurato da prestazioni discutibili). Io lascio loro credere quel che vogliono, sapendo per certo che (al netto della sosta, che crea problemi a tutti) l’Udinese farà la prestazione come richiesto da Delneri. Sempre. Comunque.
Inizia un ciclo duro: Inter, Roma, Empoli al Castellani e Milan in casa sono un mini-blocco di gare difficilissime; ma l’Udinese vi arriva col cuore leggero di una classifica tranquilla e un ritrovato gruppo di giocatori che si rispettano fra loro e, finalmente, rispettano i propri tifosi e la maglia che indossano.
Lo affrontano, i bianchineri, dopo quattro gare con dieci punti guadagnati; ciò in seguito alla disfatta del Sant’Elia, dove di fronte ad un’avversaria non trascendentale si sono lasciati tre punti troppo facilmente. Dopo quel pomeriggio le cose sono decisamente cambiate: meno errori difensivi (ancora presenti...); più concentrazione, la famosa “resilienza” di squadra che permette ai bianchineri di non crollare al primo pericolo occorso; una coesione ormai totale in una squadra nella quale corrono quasi tutti.
Dico quasi, perché il 2017 porta in eredità due “casi” da risolvere per il bravo Delneri. Uno è Kums: si vede lontano sei chilometri che ha piede, personalità e visione di gioco, ma ha troppo spesso trotterellato, frenato, per il campo passando la palla a un paio di metri, in orizzontale o all’indietro, senza rischi. Ultimamente però il suo baricentro è salito verso l’area avversaria, anche quando (come a Genova) entra a partita in corso dalla panchina per sostituire un centrocampista preferitogli inizialmente.
L’altro, dalle chiare stimmate del gran giocatore, è DePaul. Nel suo caso da tipico gaucho triste vale una semplicissima assunzione: appena riesce a capire che in Italia, più che in Spagna ed enormemente di più che in Sudamerica, la palla si passa quando si deve e non quando non se ne può più; che da noi il dinamismo è diventata un’esigenza di gioco, che permette tra l’altro di saltare l’uomo meglio di quando si parta da fermo (a meno che non ci si chiami Zico o Maradona, ma non mi pare questo il caso), allora Rodrigo diverrà giocatore indispensabile. Fino a quel momento resterà un prospetto, un oggetto spesso avulso dal contesto di gioco friulano, un lusso che Gigi spesso non si può permettere (e quindi lo toglie per mettere un Matos qualsiasi).
Hanno una fortuna, Sven e Rodrigo: la classifica. La tranquillità permetterà a Gigi l’Aquileiense di dosarseli, di osarseli e valutarli senza frenesie.
E che fortuna abbiamo noi! Un classément medio in via di risalita; un senso di gruppo ritrovato; una tifoseria mai così unita; un allenatore vero, senza tanti fronzoli ma con “manadis” di sostanza e buonsenso, al tempo stesso saggio e così pazzo da arrivare, prendere un Fofana che il campo non lo vedeva più e farne uno dei migliori centrocampisti del campionato. Tutto in tre mesi. Teniamocelo stretto.
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