Queste le parole del direttore Daniele Pradè nell'evento organizzato ieri pomeriggio presso la Club House dello stadio Friuli.
Cosa ha provato quando ha ricevuto la chiamata dall'Udinese Calcio?
Quando mi ha chiamato la famiglia Pozzo è stato un moto d'orgoglio. Mi ha fatto pensare alla qualità e alla professionalità di questa società che al di fuori di questo territorio è vista come un esempio importante di cultura professionale e per me essere qui è motivo di orgoglio e di grande crescita, sono contento di essere qui e di continuare a imparare.
Lei ha avuto anche una breve carriera da calciatore, nelle giovanili della Lazio. E questa è una curiosità visto che poi a livello dirigenziale ha sviluppato una carriera ad alti livelli con la Roma. Come mai non è riuscito a sfondare come calciatore?
Quello che dico sempre alle famiglie, quando parlo ai genitori nel settore giovanile è che sicuramente è normale che ci sia la voglia di arrivare, ma la prima cosa è il divertimento. Io mi divertivo molto, ma avevo una famiglia che non accettava molto questo mio ruolo, che avrebbe preferito che studiassi. Piano piano ho capito che avevano ragione, che non ero portato per fare il calciatore, non avevo lo spirito di sacrificio necessario, non ero pronto a mettere al primo posto della mia vita solo e soltanto il calcio. Questo deve essere d'esempio per tutti i giovani che si avvicinano al calcio: deve essere un divertimento, un gioco. Poi si capisce da soli se uno può diventare qualcuno in questo mondo o meno.
E' cominciato dunque il percorso dirigenziale, che in molti dimenticano essere iniziato dalle categorie più basse, che sicuramente avranno avuto parte importante nella sua formazione.
Quella è stata la mia gavetta e tutto parte dalla passione. Io dico sempre che tutto parte dall'album delle figurine. Ne sono sempre stato appassionato; poi la vita ti presenta opportunità che non ti aspetti: mi sono fidanzato con quella che adesso è mia moglie. Suo zio aveva una squadra di Serie D di un quartiere di Roma, da lì ho iniziato il mio percorso, nello Spes Olmi. Avevo 18 anni e adesso ne ho 51, non ho mai smesso di lavorare da allora.
Il filo conduttore di tutte le sue esperienze è di aver lavorato con delle proprietà di tipo familiare, sia a Roma che a Firenze, adesso qui a Udine. Lei ha sempre cercato questo tipo di situazioni, per quale motivo?
Quando rappresenti una famiglia, una squadra, rappresenti un popolo. Mi piace essere parte integrante delle decisioni e del pensiero di una famiglia. Questa è una mia prerogativa e spero di metterci sempre tutto me stesso, la mia passione. Vengo da una famiglia di imprenditori, quindi capisco il pensiero di una famiglia che sta dentro ad un'azienda.
Dopo tutti questi anni di esperienza, quale è la differenza tra la conduzione di una squadra da parte di una famiglia piuttosto che di un fondo finanziario?
Sicuramente l'appartenenza. L'identità, il sentirsi rappresentati in un territorio. Il fondo non ha appartenenza. Le proprietà vengono giudicate sul posto. Anche se nella maggior parte dei casi non vengono giudicate in maniera obiettiva. Anche se poi a posteriori ne viene sempre rivalutata l'importanza. La famiglia sente ogni partita come una responsabilità, mentre se stai a migliaia di chilometri non è la stessa cosa.
Ci racconti in poche parole l'esperienza a Roma con un Presidente come Sensi.
Franco Sensi è uno di quegli uomini che ti possono cambiare la vita. E' un uomo che per la Roma ha sacrificato tanto. Anche del suo patrimonio . Voleva a tutti i costi lasciare un ricordo e adesso è nella storia di quella città.
Nella storia c'è anche Totti. Lei ci ha avuto a che fare quando era giovane. Una bandiera, un personaggio difficile da gestire, è davvero così?
Francesco lo conosco perfettamente, come conosco la sua famiglia e il suo background. Secondo me è stato il calciatore italiano più forte degli ultimi 30 anni. Un ragazzo umile, molto volenteroso, che ci tiene alla sua formazione. Andavamo assieme a studiare comunicazione da Maurizio Costanzo. La sua è una famiglia che prova un grande senso di riconoscenza per quello che ha ricevuto, molte cose su Francesco nemmeno si sanno, su quanto si impegna nella beneficenza ad esempio. C'è sempre stato grande rispetto reciproco e una sua parola in spogliatoio poteva essere di grande aiuto per me.
Passiamo adesso alla Fiorentina, rilevata dai Della Valle dopo il fallimento e riportata nel calcio che conta. Lei parlava della scarsa riconoscenza che a volte si manifesta in piazze complesse. E' stato questo uno di quei casi?
I Della Valle sono imprenditori di altissimo livello. Firenze è una città particolarissima ed avere una proprietà "forestiera" non ha sicuramente aiutato la piazza ad affezionarcisi. Però la famiglia Della Valle ha investito tantissimo, non solo a livello sportivo, ma anche aziendale; hanno dato veramente tanto alla città.
Un altro presidente, spesso criticato, come Ferrero sta mantenendo la Sampdoria ad alti livelli.
Ferrero bisogna conoscerlo e vivere la sua quotidianità. Lui ha una grandissima stima per il Presidente Gianpaolo, lo cerca spesso. Io gli voglio bene, è stato una scoperta incredibile. Certo è complesso, al limite della follia. Non si sa mai cosa pensa, cosa vuole fare, quali sono i suoi orari, il suo modo di essere. E' un generoso, un uomo di pathos. La sua è un'azienda diversa, l'azienda è lui, non potrebbe mai avere un Amministratore Delegato che prende le decisioni.
Il calcio è cambiato da quando aveva 18 anni. Cosa porterebbe ad oggi del calcio della sua gioventù e viceversa?
Adesso che la scuola di Coverciano è diventata una scuola al top, mi capita di andare a tenere qualche lezione. Quando vado lì a parlare ai ragazzi che vogliono fare il mio lavoro, gli dico che ci vuole una grandissima fortuna, ma è un campo in cui la meritocrazia ancora paga. Se sei leale, onesto e gran lavoratore, questo è un mondo che ripaga. Siamo professionisti e chiaramente ci capita di spostarci spesso, ma quando viviamo un realtà lo facciamo al 100% , io la notte non dormo per l'Udinese, pensando alla partita. Questo è rimasto da quando ero giovane e secondo me è la cosa più importante, per il resto i tempi cambiano, come è giusto che sia.
E' vero che bisogna essere anche un po' psicologi per avere a che fare con giocatori ed allenatori?
C'è tanta psicologia ovviamente. Io ho avuto a che fare con giocatori che guadagnavano 10 milioni di euro l'anno, delle vere e proprie aziende. Per avere a che fare con loro sono fondamentali la cultura e la credibilità. Condividere, saper ascoltare ed essere propositivi sono le armi vincenti in questo tipo di ambiente.
La Serie A sembra aver ritrovato una certa credibilità a livello internazionale, ma basta guardare anche ai fatti dei giorni nostri per capire che viviamo un periodo abbastanza caotico, pensiamo al caso della Serie B.
Ho chiara la politica del calcio e conosco bene la Federazione. Nei miei 10 anni a Roma ci ho avuto a che fare molto e non nascondo che potrebbe essere un mio obiettivo per il fine carriera. La Serie A sembra aver ritrovato lustro. E' composta di squadre obbligate a vincere, come Juve, Milan e Inter, e squadre obbligate a dover competere nel migliore di modi, come noi. Qui ci sono decine e decine di professionisti che lavorano ogni giorno dalle cucine allo staff tecnico, per arrivare alla domenica a giocarsi i 3 punti anche con la Juventus. Il segreto per far funzionare tutto questo è pensare al sistema calcio prima che al sistema persona. I giocatori non più al centro, ma tutto ciò che li porta ad essere competitivi.
Autore: Jessy Specogna
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