Vince l’Inter. Viva l’Inter. E a me brucia, un bel po’.
Perché nel primo tempo i boys di Delneri avevano infilato il dito nella ferita aperta di un’avversaria piena di grandi nomi (con -118 milioni i nerazzurri sono terzi nel ranking del disavanzo di spesa europeo, dietro alle due di Manchester) ma povera di gioco. Che se la cavicchia, bontà sua, solo grazie all’essenzialità di un tecnico di provincia arrivato senza fanfare, anzi con grosse critiche da parte di qualche opinionista meneghino; alla bravura di un portiere che conosciamo bene, e che a Milano chiamano “Scarsanovic” i poveri orfani di Julio César, brasiliano del quale lo sloveno è più bravo di due spanne, o tre; soprattutto a quella che Pioli chiama “capacità di soffrire” mentre io definirei buona sorte. Quella che permette agli interisti di sfruttare l’unico guizzo di giornata di Icardi, ben domato dai difendenti bianchineri, che passa a Perisic il quale segna sul palo del “complice” Karnezis. Tutto questo quando, secondo il mio cronometro, il 47’ sancìto dal direttore di gara era passato da una ventina di secondi. Evidentemente il cronografo di Doveri, come i treni del capoccione buonanima, è sempre in orario ed il mio invece no. Rete da polli, la palla andava congelata.
Nella ripresa accadono le uniche due cose che non mi sarei augurato: entra Joao Mario per un impalpabile Banega; soprattutto l’Udinese si abbassa troppo e non riesce più a ripartire, sbagliando quell’ultimo dettaglio che avrebbe permesso, forse, ad Handa di manifestarsi ancora più capace di fronte agli attaccanti bianconeri. Invece no: l’Inter traccheggia un giro palla noioso, che sortisce un paio di cross ed un’occasione su cui si immola Widmer a difesa della porta. Fino al 43’, quando su una punizione laterale la difesa dimentica ancora Perisic che segna il 2-1.
Disturba? Ebbene sì: l’Inter ha avuto il merito di crederci anche se per la vittoria, nonostante le parole di Pioli, non vi era alcuna premessa; la gara sarebbe potuta, forse dovuta accomodarsi su un 1-1 tutto sommato equo. L’Udinese ha il demerito di snaturarsi, di smettere i panni della dinamica ragazzina sfacciata per cercare di gestire, cosa per la quale proprio non è portata (e forse qualche correttivo gennarino servirebbe, come suggerito dal Gigi). Disturba perché questa era una gara importante, un crocevia sul campionato friulano: far punti, dar continuità dopo dieci punti filati sarebbe equivalso ad una patente di maturità acquisita; invece niente, siamo lì a centro classifica con la consapevolezza, per un santo o per l’altro, di star crescendo ma alla fine, come dice Gigi l’Aquileiense, conta piazzarla alle spalle del portiere avversario e ciò, oggi, è avvenuto in percentuale troppo bassa.
Schiaffi di crescita? Mah, forse. Però come successo a Bergamo la resilienza paga, se l’avversaria non riesce a tramutare in punto le occasioni presentatesi. Il primo tempo udinese è stato eccellente, ma paradossalmente la gara la si è persa proprio lì, quando al tramonto di quei 45 minuti giocati veramente bene subisce la rete del pari, a quel punto sì del tutto immeritata dai, chiamiamoli così, verdefluo-celesti.
È il momento, e la Roma sarà buon test in tal senso, di dare una sterzata alla stagione. Gigi mi è sembrato un bel po’ arrabbiato per come sono andate le cose, anche se un uomo di sport come lui sa perfettamente che il calcio è una ruota che gira. E sa anche quali sono i problemi: se l’attacco segna una percentuale limitata delle occasioni che arrivano, occorre aumentare l’autostima a centrocampo, dove anche oggi si palleggia con fatica e poco piglio. Deve crescere Kums, evitando di lanciare il contropiede avversario come successo oggi; Fofana è un grande mediocampista, l’importante è che non ci pensi troppo e giochi con l’umiltà e la spensieratezza delle giornate precedenti.
Davanti? Oggi, con Théréau chiaramente non al meglio, serviva una supergara di Duvàn: invece al solito sì, come mi dicono spesso si sbatte e sgomita, ma da un centravanti ci si aspetta qualcosa di più. Segna decisamente poco per quel che potrebbe, anche oggi la palla ricevuta da Jankto nella ripresa meritava miglior sorte. Oggi, eretico io, avrei tolto lui e lasciato in campo Rodrigo DePaul, uno dei più positivi in campo anche se alla lunga un pochino affaticato.
Dobbiamo pensare positivo: riconoscere che oggi la fortuna ha tolto quel che altre volte ha dato, rendere onore ad una delle edizioni dell’Internazionale più modeste della storia gloriosa di quel club, pensare che domenica prossima arriva la Roma dello sportivissimo Spalletti, sperando che quelli bravi, quelli con cui lui parla senza problemi, gli abbiano contestato quanto inopportune siano state le sue parole alla fine della gara costata la panca a Colantuono, la stagione passata: Udine è civile esattamente quanto lo era quando lui allenava qui, prima di diventare bravissimo ed espertissimo. E il qui-pro-quo fra alcuni tifosi e Danìlo è esattamente questo, nessuna recrudescenza di tifo esacerbato. Tanto per rassicurarlo, mica per altro.
Ed è tanto civile, l’Udine biancanera, da ospitare schiere nutrite di tifosi nerazzurri sciamate dal Friuli tutto e dal vicino Veneto, esempio raro in Italia di tifoserie dai colori fusi fra loro con un sorriso e una battuta. Ed al gruppetto di tifosi nerazzurri, quelli che ci chiamano “lori”, che uscendo dal campo mi han rivolto qualche parolina di troppo e un uso alternativo del dito medio, citando il Flavio Bucci de “Il Marchese del Grillo” dico che li perdòno. Perché fuori dal Friuli smetteranno i colori della squadra del loro cuore e rientreranno nelle loro vite. Spero per loro non paragonabili all’andamento interista degli ultimi cinque anni, Beer’Sheva incluso. Complimenti comunque ai supporter nerazzurri per il terzo posto già raggiunto...
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