O forse sì. Dipende dai punti di vista.
Diciamo tanto per cominciare che ci si aspettava molto di più dalla Lazio, seppure in versione-B con quattro titolarissimi lasciati a riposo. Poco possesso palla, tanta frenesia, due tiri in porta (ma il 100% di realizzazione) ed un finale in pieno affanno. Ha ragione Inzaghi a gongolare, appagato da una serata in cui i suoi la vittoria non se la sono proprio guadagnata; gongolano i colleghi al seguito, che beatificano la truppa di Lotito lasciando da parte come i tre punti sono arrivati. Purtroppo per Simoncino la panca messa a sua disposizione è molto meno qualitativa di quella delle rivali; alcuni giocatori, tipo Luis Alberto, le cui prestazioni non ricordano nemmeno lontanamente quelle della scorsa stagione, ormai sono stati studiati. La rosa sta invecchiando in alcune posizioni nevralgiche. Auguro loro le migliori fortune, ma la Roma pare in ripresa.
La sconfitta è indolore, ma porta zero punti. Perché quando la Lazio, nel primo tempo, giochicchia senza mordente consentendo a Scuffet e soci difendenti tre quarti d’ora tranquilli l’Udinese aspetta e stenta a proporsi, pur giocando la palla di più e meglio dell’avversaria. Cinque minuti di follìa costano le due reti all’Udinese, rea di essersi addormentata su una punizione dal vertice dell’area (troppo morbido Scuffet) che il solitario Acerbi converte in punto; e per un errore di Larsen, forse l’unico della serata, che permette a Corrèa di fare il fenomeno.
Partita finita? Lo ha pensato Inzaghi, che mette in campo il ventiseienne angolano Quissanga, il quale non tocca mai la palla, e commette un fallo arancione su DePaul che per il modesto Maresca di Napoli merita solo un giallo (la protesta veemente del mister biancazzurro testimonia, secondo me, della percezione dello scampato pericolo). Lo hanno pensato molti, ma non i bianchineri né lo straordinario pubblico, il cui ruggito ha scosso le fondamenta del Friuli spingendo i propri beniamini a sfiorare la rimonta completa.
Troppo esperta la Lazio, che negli ultimi venti minuti mette in campo un logico e comprensibile campionario di perdite di tempo che il modesto Maresca di Napoli tollera fin troppo; troppo ingenua l’Udinese, che non sfrutta le occasioni a disposizione perdendo un’occasione per convertire un salto in avanti in triplo carpiato difficoltà treecinque.
Male?
Macché.
Al fischio finale del modesto Maresca di Napoli, l’intero pubblico applaude i ragazzi di casa, testimoniando le verità innegabili che anche stasera sono emerse.
Il rinnovato feeling fra tifoseria, società e squadra: dieci minuti di applausi finali, non dico altro.
Ho parlato di squadra: fatte fuori le vedettes, questi uomini si sono compattati, formando un gruppo vero e proprio. Ne sia prova il Diéz, che persa la prima palla del proprio campionato (nella sua partita meno ispirata dell’inizio di stagione) rincorre l’avversario recuperando la sfera e rilanciando l’azione. Dov’è il depresso gaucho che solo sei mesi fa si accasciava al suolo lasciando campo libero alle schiere avversarie senza colpo ferire? Non ci interessa granché, non ne sentiamo la mancanza.
Don Julio? Mi ripeto: si sta confermando un uomo serio, con idee chiare e poche chiacchiere. Capito il manipolo di giocatori a disposizione ha temporaneamente accantonato il tikitaka visto nel meraviglioso primo tempo contro il Benevento (gara persa) a vantaggio di un italianissimo ‘difendi e riparti’, aiutato da una preparazione fisica che pare azzeccata (anche oggi finiamo in crescendo) e dalla dedizione dei calciatori, mai così applicati al proprio compito.
Il salmantino guarda alla gara contro il Bologna come al vero spartiacque della stagione: stasera preserva muscoli e fiato di Valon e in parte di Nacho, uomini che appaiono imprescindibili nello scacchiere dello spagnuolo. Domenica all’ora delle lasagne al Dall’Ara va in scena una partita decisiva, che l’Udinese vincerà se giocherà come stasera. Ne sono certo.
Il vero problema, anche oggi, è la fase offensiva: tante occasioni, tutte però (tranne una) determinate dal centrocampo. Lasagna prima, Ɫukasz poi fanno fatica a tenere alta la squadra; meglio in questo fondamentale il polacco, che ha anche un’occasione per pareggiare con la palla che accarezza il palo alla sinistra di Strakosha. Serve di più, tipo il KL15 del secondo tempo al Bentegodi, per passare anche in terra felsinea.
Non dimentichiamo mai, però, da dove partiamo: dalla depressione di gare mai lottate; dalla sensazione che chi andava in campo lo facesse quasi per dovere verso chi versava lo stipendio; da un mister che alla nostra domanda sul pubblico che aveva seguito la squadra a 1500 chilometri di distanza di lunedì sera, rispondeva ‘il tifoso fa il suo’, quasi fosse normale. Ed era, degli allenatori post-Francesco (di cui non scordo la frase secondo la quale il pubblico friulano avrebbe dovuto prendere esempio da quello genoano), nettamente il migliore assieme forse al Gigi nostro.
Non dimentichiamo che solo tre mesi fa tanti, troppi vaticinavano esoneri dopo due gare, Udinese a due punti dopo la gara contro la Juventus del prossimo sei ottobre. Non sarà così.
Con gli amici più cari sono in corso scommesse: sulle reti finali del polacco; sui punti totalizzati dall’Udinese a fine stagione. Almeno una, senza esaltarmi, sono certo di vincerla.
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