Avrei voluto chiudere la bocca al solito simpaticissimo Montella, il quale con coraggio ha cambiato lo schema di gioco su indicazione del suo tattico nativo di Rende, impedendogli di gigioneggiare in sala stampa.
Avrei voluto chiudessero la bocca a me, che mi prendevo qualche insulto quando dicevo che l’Udinese di reti per vincere ne deve segnare sempre almeno due, dato che il golletto di “riffa o di raffa” lo subisce sempre. Invece quattordici tiri rossoneri e due reti, entrambe “sporche” realizzate in coabitazione con una distratta difesa biancanera.
Purtroppo è andata così: onorevole sconfitta ma zero punti, al cospetto di una squadra che sì, forse in futuro sarà grande (tralascio i peana della pravda rossonera, che ormai non distingue i cori per la vittoria contro il Barcellona ad Atene nel 1994 da quella contro una squadra che da quattro anni si posiziona nel lato B della classifica) ma oggi appare un cantiere. Una squadra che nel primo tempo ha fatto fatica, più di quanto si voglia sostenere; solo uno Stryger troppo teso ed un Samir inguardabile hanno reso giganteschi l’ottimo Rodriguez e il buon Calabria. La vera differenza però l’ha fatta Kessié: l’ivoriano ha creato superiorità dovunque, trasformato i momenti di difficoltà difensiva rossonera in break offensivi, tralascio l’assist per il raddoppio di Kalinić perché per una difesa disattenta come quella bianconera difendere a zona sui calci piazzati è un suicidio (i milanisti marcavano infatti a uomo). Il Milan è uscito meglio in una ripresa in cui l’Udinese è molto calata, come domenica scorsa: stavolta però stare “sulle sue” non poteva pagare dato il risultato scaturito dai primi 45 minuti.
Delneri si è detto triste per la sconfitta ma soddisfatto per la prova di squadra. Io invece avrei voluto. E questo condizionale, per l’ennesima volta, mi rende del tutto insoddisfatto.
C’è chi ha detto che il problema friulano giace tutto dalla cintola in giù: non sono d’accordo. Buona prova di Lasagna, okay; partita diversa da quella di Ferrara, okay: ma alla fine quattro tiri verso lo specchio sono poca cosa. Già: il Milan è sempre il Milan, ma anche oggi Leonardo Bonucci mi ha confermato quale sia la risposta ad una domanda che mi ponevo. Se, cioè, fosse stato lui a rendere grande la difesa della Juventus o forse l’esatto contrario. Tre volte puntato, tre volte saltato (sta ancora cercando di capire da che parte sarebbe passato Fofana sulla bella percussione del francese, in evidente via di recupero) si fa notare quando urla un intero rosario in faccia a Guida, che (come da copione) abbozza e lo lascia fare. D’ora in poi lo considererò il Marchese del Grillo della difesa milanista (io so’ io, voi nun siete...). E con un Romagnoli al 20% e un “Bonimbauer” così, bisognava saper osare di più. Peccato.
Quattro giornate sono passate, trentaquattro mancano. L’Udinese per raggiungere la quota tanto cara alla “proprietà” deve totalizzare una media superiore al punto a partita. Mercoledì sera al Friuli arriva il Torino, squadra costruita con ambizione che sta rendendo meno di quanto direbbe la rosa a disposizione di Mihajlović. Settimana scorsa dicevamo che avremmo voluto vedere Nuytinck e soci più impegnati rispetto a quanto opposto da Galabinov: oggi il centravanti rossonero ne ha fatti tre (la rete annullata dal Var era realmente questione di millimetri), fra tre giorni davanti il Toro schiera Belotti, Niang, Iago, Liaijć... Buon lavoro ragazzi.
Avrei voluto scrivere, finalmente, come si faceva cinque anni fa, di strabilianti prestazioni offerte dai bianchineri eroi nostri; siccome sono inadeguato non solo a giudicare la progettualità societaria udinese, ma anche il grado di intensità nella donazione in campo dell’anima da parte dei giocatori, continuerò a starmene defilato.
Per non dire che a me perdere con onore una gara che si poteva giocare guardando gli avversari negli occhi per novanta minuti non fa impazzire; per non dire che continuare a veder entrare giocatori che si impegnano, ma non riescono come Matos non mi fa impazzire; per non dire che oggi inserire, chessò, un Ewandro o un Balić non avrebbero certo ottenuto alla causa un risultato peggiore.
Dai, Gigi: sgarfiamo, sgarfiamo, sgarfiamo ma soprattutto cerchiamo di giocarcele: fino in fondo.
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