In esclusiva per goal.com/it, Dusan Basta ha fatto il punto sulla sua situazione all'Udinese, sugli obiettivi personali e di squadra rispondendo anche alle inevitabili domande su Di Natale e Muriel. Ecco l'intervista integrale:
Nell’Udinese tu ormai sei uno dei veterani, ma ti ricordi il tuo arrivo ad Udine? Qual è stato il primo impatto? “Dopo aver firmato con l’Udinese ho svolto tutta la preparazione estiva in Friuli. Mi ricordo che in squadra c’era già Aleksandar Lukovic, serbo come me, che mi ha dato una grande mano per inserirmi al meglio. E poi in quel periodo è nata la mia prima bimba, a Belgrado, e mi ricordo di essermi assentato per un paio di giorni, con il permesso della società, per andare a trovare lei e la mamma”.
Allora Dusan, quanto è stata forte la delusione della sconfitta del preliminare di Champions? Cosa vi è mancato e come avete reagito? “La delusione è stata forte, è innegabile, perché dopo il quarto posto della stagione precedente eravamo riusciti nel “miracolo” sportivo di chiudere il campionato successivo ancora meglio, cioè al terzo posto e quindi a regalarci un’altra chance per provare ad entrare in Champions. Abbiamo cercato di chiudere immediatamente quella parentesi per rituffarci nel campionato, ma non è stato facile. Qualcosa dentro era rimasto e credo si sia visto con i primi non eccellenti risultati in Serie A”.
Tra l’altro avevi anche segnato… A proposito di goal, l’anno scorso eri un “bomber” implacabile, quest’anno meno: cos’è cambiato? “Va bene, dai, ma la scorsa stagione è stata l’eccezione, non la regola. Io non sono un bomber. Quest’anno ho già segnato a Braga e a Siena, sono stato fuori per diverso tempo causa infortunio e, per quanto mi riguarda, va benissimo così. Lasciamo che siano Totò e gli altri ad andare a bersaglio!”
Sono partiti Isla e Asamoah, due colonne dell’Udinese degli ultimi anni: come riuscite ad assorbire sempre bene questi addii? “Francamente, credo che piangersi addosso non serva a niente, nella vita come nel calcio. A Udine siamo abituati a questo trend. E’ la filosofia della società quella di cedere, in estate, due o tre pezzi e sostituirli con giovani di qualità. Si va avanti così da sempre e i risultati sono sotto gli occhi di tutti”.
Molti dicono che Muriel è ancora tutto da scoprire: secondo te dove può arrivare? In allenamento fa cose da fenomeno? “Non ha limiti viste le qualità a disposizione, ma io preferisco non fargli troppi complimenti. Il mio suggerimento è quello di rimanere umile e di continuare a lavorare con l’intensità e la voglia che ha dimostrato in questi mesi. Poi, con quelle qualità, il futuro potrà davvero essere suo”.
Fenomeno vero, invece, Di Natale: è un fuoriclasse che dal calcio ha avuto meno di quanto avrebbe potuto? “Se parliamo di pura tecnica e classe Totò è senza dubbio tra i top in Italia e in Europa. Sul resto, invece, sono scelte sue. Lui ha deciso di sposare una città e una squadra e credo che questa sua scelta debba essere rispettata e ammirata”.
E Basta? Ha avuto il giusto? Ti aspettavi di più, ti aspetti di arrivare dove? Quali sono i tuoi obiettivi a breve e quale invece il tuo sogno nel cassetto? “Io sono contento di essere all’Udinese e di giocare in Serie A. All’inizio, specialmente nel corso del primo anno a Lecce, non ho giocato molto, poi sono arrivato in Friuli, mi ero guadagnato la maglia da titolare, ma mi sono infortunato e sono stato fermo ai box per oltre un anno. Adesso le cose vanno bene e l’unica cosa che chiedo al destino è semplicemente la salute”.
Come giudichi l’eliminazione dell’Europa League: meglio così, in moda da evitare distrazioni per un campionato molto difficile? “Certamente, dopo un anno e mezzo in cui giocavamo ogni tre giorni, adesso abbiamo la possibilità di staccare la spina e lavorare con maggiore calma in settimana, ma l’eliminazione dispiace eccome. In fondo noi in campionato giochiamo per raggiungere il piazzamento finale migliore, ma anche e soprattutto per poter giocare in Europa nella stagione successiva. Purtroppo quest’anno è andata male e, fidatevi, questo rode a tutto l’ambiente”.
La maggiore difficoltà che hai avuto ad ambientarti in Italia e al calcio italiano? E la cosa italiana a cui non rinunceresti mai oggi? “Nulla di particolare. Già in Serbia, quando i giornalisti mi chiedevano in che campionato avrei voluto giocare, rispondevo sempre la Serie A. Perché mi piace l’Italia e il calcio italiano. Quando sono arrivato qui non conoscevo la lingua, ma avevo una voglia matta di impararla il prima possibile, tatticamente ero forse impreparato, ma avevo tutte le intenzioni di mettermi a disposizione del mister e imparare dai miei compagni. In altre parole sono arrivato in Italia mentalmente preparato. A cosa non rinuncerei adesso? Al cibo italiano. Per un atleta è il massimo”.
Ripensando al tuo passato, che effetto ti fa vedere la Stella Rossa in crisi? “Dispiace da morire. Sono sempre stato un tifoso della Stella Rossa e, fin da bambino, sognavo, e ho coronato quel sogno, di indossare quella maglia. Questi ultimi anni non stanno andando come sperato, visto che vince praticamente sempre il Partizan, ma mi auguro che la ruota possa girare presto”.
La Nazionale serba è spesso additata come una splendida incompiuta e anche questa, comunque piena di grandi giocatori, non riesce ad ottenere i risultati a cui ambisce: secondo te perché? “Sì, è incredibile. Se date un’occhiata alle rose a disposizione, e valutate i singoli giocatori, credo che possiamo essere definiti come una delle Nazionali più forti d’Europa, eppure non riusciamo mai a raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati. Il perché? Francamente non lo so. Me lo sono chiesto spesso anche io, ma non so davvero darmi una risposta”.
Autore: Davide Rampazzo / Twitter: @Davide_Rampazzo
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